Purnananda Zanoni
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ESERCITIAMO IL NOSTRO SANSCRITO

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Perché vale la pena di conoscere il Sanscrito?

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Perché è la lingua delle nostre origini.
Perché è una lingua perfetta (saṃskṛta).
Perché è una lingua difficile, ma non così difficile quando la si conosce.
Perché non è una lingua che si apprende ma che si conosce (jñānam).
Perché una lingua sacra è, a detta di certuni, irrelata dal senso comune (ānarthakya).
Perché tutto ciò che esiste, esiste nel Sanscrito, e ciò che non esiste nel Sanscrito, non è.
Perché ci sono dei trattati (śāstra) su tutto.
Perché la grammatica (vyākaraṇam) permette di conoscere e misurare l’universo (bhuvanam).
Perché nel conoscere il Sanscrito, si conosce se stessi (ātman), e questo dà gioia (ānanda).
Perché in questo modo si soddisfa il gusto per le cose (artha), per la legge divina e umana (dharma), per l’amore (kāma) e anche per l’uscita dal mondo (mokṣa): tutti gli scopi dell’uomo (puruṣārtha) sono conseguiti.
Perché nel studiarlo si dà la possibilità al professore di credersi un maestro (la regola cosiddetta dell’ācāryakaraṇavidhi).
Perché ogni azione (karman) porta un frutto (phala) in questo mondo (iha) e nel mondo aldilà (āmuṣmika).
Per la conservazione della conoscenza eterna (Veda).
Perché il Sanscrito non serve a niente e a nessuno, tranne che a se stesso.

                                                                                      Fonte: Prof. M. Angot (www.michelangot.com)
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La negazione in Sanscrito (fonte Prof. A. Rigopoulos)
PRASAJYA è la negazione radicale non proposizionale, reiezione della proposizione senza implicazioni di altra natura
formazione: na + verbo, na è connesso al verbo, esempio: saḥ brāhmaṇaḥ nāsti non è un brāhmaṇo
PARYUDĀSA è la negazione che implica, in quanto implicazionale rimanda ad un altro contenuto
formazione: apponendo la “a” privativa davanti al termine da negare
esempio: abrāhmaṇo ‘sti questo non è un brāhmaṇo (è uno kṣatriya) 
e anche ahiṃsā = non-violenza ma anche = innocenza
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Irregolarità: la forma tematica puṁs
La forma tematica nominale puṁs m.: “uomo, di genere maschile” è davvero irregolare, al grado pieno pumāṃs (cioè pumāṃḥ [davanti a parola successiva che inizia con c/ch diventa pumāṃś]), perde la s davanti al bh dei casi con questa finale, e nel locativo plurale. Il vocativo è (come anche quanto accade per la declinazione del participio perfetto) puman nel linguaggio più recente e pumas in quello più antico. Quindi:
                                      SINGOLARE                     DUALE                     PLURALE
Nominativo                    pumān                            pumāṃsau                 pumāṃsaḥ
Accusativo                     pumāṃsam                    pumāṃsau                  puṃsaḥ
Strumentale                    puṃsā                            pumbhyām                 puṃbhiḥ
Dativo                            puṃse                            pumbhyām                 pumbhyaḥ
Ablativo                         puṃsaḥ                          pumbhyām                 pumbhyaḥ
Genitivo                         puṃsaḥ                          puṃsoḥ                      puṃsām
Locativo                         puṃsi                            puṃsoḥ                       puṃsu
Vocativo                        puman                           puṃāṃsau                  pumāṃsaḥ
Si noti che l’accentuazione sulle forme deboli è dovuta essenzialmente al lemma monosillabico. Le forme con l’esito in bh non compaiono nella lingua antica, né dovrebbero esserlo nella lingua recente. Esempi di confusione tra forme forti e deboli vi si trovano occasionalmente.
Questa forma tematica appare sotto una considerevole varietà di forme composte e derivate, come puṁs in puṁścalī, puṁstva, puṁsvant, -puṁska ecc.; come pum in pumvatsa, puṁrūpa, puṁvat, pumartha ecc.; come puṁsa in puṁsavant; alla fine di un composto, sia con flessione piena come in strīpuṁs ecc.; oppure come puṁsa in strīpuṁsa, mahāpuṁsa; o come puma in strīpuma. (fonte: Purnananda Zanoni)
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Riflessioni sul linguaggio

Si può tentare di fare una breve considerazione di fondo vagamente epistemologica, senza alcuna pretesa analitica, sistematica o speculativa.
Il dato di partenza è la parola “Sanscrito”: saṃskṛtam.
È composto dalla radice verbale kṛ al participio passato passivo: kṛtam = fatto, con prefisso sam = con (il cum latino) e una s dentale come infisso eufonico. Il senso è: "cum fectus" “preparato” "perfetto", come si fa con una pietanza. Dal punto di vista grammaticale il suo significato è: “il linguaggio che segue le regole della grammatica”.
Sembra che il Sanscrito si presti ad una sorta di duttilità lessicale: con una relativa quantità di radici verbali, temi nominali, prefissi, suffissi e desinenze si può produrre un numero pressoché indefinito di termini. Come se, a differenza di noi che prima cerchiamo di individuare la forma tematica e poi gli infissi, gli antichi ṛṣi vayākaraṇāḥ, come Pāṇini, Kātyāyana, Patañjali, Bharthṛhari, partissero dai suffissi e dai prefissi per poi inserire il tema e creare così la parola.
Nei primi sei śloka l’aṣṭādhyāyī di Pāṇini (la proto grammatica), espone la
Gradazione vocalica, o apofonia
Si tratta dell’incremento codificato secondo tre gradi:
base (debole)                          a,ā       i,ī         u,ū      ṛ          ḷ
guṇa (pieno)                           a          e           o         ar        al
vṛddhi (accresciuto)                ā          ai          au       ār        āl
Davanti a vocale:                    i,ī = y --- u,ū = v --- e = ay --- ai = āy --- o = av --- au = āv 
es.: dalla radice bhū abbiamo bho + a + ti, o davanti ad a diventa av perciò bhavati
Saṃprasāraṇa
detto anche riduzione o vocalizzazione; la maggior parte delle radici verbali è nel grado normale (guṇa), tuttavia vi sono casi in cui le semivocali arretrano a vocale:
                                              ya = i --- va = u --- ra = ṛ
come nella formazione del participio passato, esempio: svapati egli dorme → supta dormito.
Riguardo all’assemblaggio di varie componenti accennato, si consideri per esempio la nota parola tantra. È formata dal suffisso tra che significa “strumento per” e tan la radice del verbo “stendere-tessere”. Il prodotto della tessitura è il tessuto, il “textum”, il testo: il tantra è un libro.
Il verbo gam significa andare (il to go inglese), con il prefisso di una ā privativa diventa āgam venire (to come inglese).
Un altro sostantivo neutro è darśanam, dal verbo dṛś vedere con l’aggiunta della derivazione primaria ana, ha il significato di visione e, per estensione, essere al cospetto del guru, ma anche punto di vista filosofico, vedi i sei darśana della filosofia indiana: Sāṁkhya, Yoga, Vaiśeṣika, Nyāya, Purva Mīmāṁsā e Uttara Mīmāṁsā o Vedānta.
Tra le derivazioni secondarie, troviamo ad esempio:
tā come nel sostantivo femminile tathā-tā la vera natura delle cose; l'aggettivo śunya significa vuoto, come sostantivo neutro significa zero, con l’aggiunta di tā diventa śunyatā la vacuità
tva come nei sostantivi neutri tathā-tva la taleità (la quiddità la sicceità la quelleità); sat-tva purezza equilibrio (uno dei tre guṇa del Sāṁkhya, gli altri sono rajas e tamas); tat-tva categoria, si riferisce ai 25 principi del Sāṁkhya, ai 26 dello Yoga, ai 36 del Trika.
Tra le opere in Sanscrito pervenuteci (senza contare i 30 milioni di manoscritti non ancora pubblicati), si può notare che a volte i testi poetici (kāvya) hanno come scopo la narrazione in versi di esaltazione elegiaca di una storia, ma il termine poesia viene inteso proprio nel senso del significato etimologico che aveva la parola greca classica: poiesis, da poieo fare, produrre (in forma poetica). Lo scopo del poeta è l’esplorazione delle potenzialità del Sanscrito, spingendosi agli estremi confini delle possibilità della lingua. La parola del poeta è la sorgente creatrice, il poeta è più importante del dio, è la sua visione del mondo.
Questo è, tanto per dire, constatabile esaminando un passo dell’opera “L’uccisione di Śiśupāla” di Māgha, seconda metà del VII sec. Appare evidente che il testo è volutamente ambiguo e per essere compreso necessita del bhāṣya commentario che disambigua il mūla il testo e lo porta al livello del dicibile. Tuttavia dal bhāṣya si può capire solo… il bhāṣya, per capire il mūla servono più bhāṣya. Nel nostro caso possiamo consultare i due bhāṣya di Vallabhaḍeva e di Mallinātha (detto Sarvāṅkṣā). Ognuno scompone i grafemi continui del testo con singoli termini diversi tra loro, portando la parola profonda a differenti livelli di superficie. Attraverso le glosse vyakaraniche e niruktiche, che sono testuali, contestuali e sinonimiche, i commentatori evidenziano con suprema sapienza le regole grammaticali dell’aṣṭādhyāyī di Pāṇini, con il mahābhāṣya di Patañjali, senza peraltro che vengano citati i precisi riferimenti al tal sloka o al tal altro. Una dimostrazione di geniale maestria nel padroneggiare i sofisticati meccanismi di composizione e sostituzione permessi dalla grammatica.
Significativo è il caso di Abhinavagupta che compone il mūla e poi fa il bhāṣya al suo mūla. (Purnananda)

Esempi di regole grammaticali

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Per consultare le regole
 di scrittura e fonetica devanagarica
 cliccare sull'icona


I pāda
Prosodia
Il verso sanscrito è quantitativo cioè fondato sulla regolare disposizione di sillabe brevi laghu (leggera) e sillabe lunghe guru (pesante).
Una sillaba è debole laghu se le vocali sono brevi e non seguite da più di una consonante.
Una sillaba è forte guru se le vocali sono lunghe, oppure se la vocale, anche se breve, è seguita da un gruppo consonantico.
Le sonorizzazioni ṃ (anusvāra) e il ḥ (visarjanīya detto comunemente visarga) non sono mai seguiti da vocali e la sillaba che le contiene è sempre forte.


 MORFOLOGIA NOMINALE
Sostantivi e Aggettivi
il Sanscrito esprime la funzione dei sintagmi nominali attraverso desinenze che formano otto
casi vibhakti
prathamā - prima
nominativo:      il soggetto e ogni termine che lo qualifica, sia come attributo (aggettivo o participio) sia come predicato
dvitīyā - seconda
accusativo:       complemento oggetto e il moto a luogo
tṛtīyā - terza
strumentale:     mezzo, unione, compagnia, causa e, in dipendenza di verbo passivo, l’agente
cathurtī - quarta
dativo:              complemento di termine, denota scopo, risultato, fine
pañcamī - quinta
ablativo:           provenienza, separazione, secondo temine di paragone
ṣaṣṭhī – sesta
genitivo:           appartenenza, relazione
saptamī - settima
locativo:           stato in luogo
vocativo:        apostrofe, rivolgersi a qualcuno (es.: oh signore!)


generi:            maschile - neutro - femminile
numeri:          singolare - duale - plurale
forme tematiche temi in vocale
1.             a                                   m n
2.             ā                                   f
3.             i - u                              m n f
4.             ī - ū polisillabici          f
5.             ī - ū monosillabici       f
6.             ṛ                                                m n f
7.             in dittongo                   m f
forme tematiche temi in consonante
8.             non apofonici               m n f
9.             apofonici                      m n f
desinenze temi in consonante

maschile - femminile     singolare   duale   plurale

Nominativo                            -              -au         -aḥ
Accusativo                             -am         -au         -aḥ
Strumentale                          -ā            -bhyām  -bhiḥ
Dativo                                    -e            -bhyām  -bhyaḥ
Ablativo                                 -aḥ          -bhyām  -bhyaḥ
Genitivo                                -aḥ          -oḥ          -ām
Locativo                                -i             -oḥ          -su
Vocativo                                -              -au          -aḥ
desinenze temi in vocale a
maschile                         singolare    duale   plurale
Nominativo                          -aḥ           -au          -āḥ
Accusativo                           -am          -au           -ān
Strumentale                        -ena         -ābhyām  -aiḥ
Dativo                                  -āya         -ābhyām  -ebhyaḥ
Ablativo                               -āt           -ābhyām   -ebhyaḥ
Genitivo                              -asya       -ayoḥ         -ānām
Locativo                              -e             -ayoḥ         -eṣu
Vocativo                              -a             -au             -āḥ

MORFOLOGIA PRONOMINALE
la morfologia pronominale, pur differenziandosi da quella nominale per il polimorfismo dei temi e delle desinenze, ha in comune la flessione dei casi, numeri e generi, illustrata nella scheda di sintesi e da quelle di ogni singola tipologia
pronomi personali
i pronomi personali nei composti appaiono nella loro forma tematica:
-          pronomi di prima persona:                 mad singolare e asmad plurale
-          pronomi di seconda persona:             tvad singolare e yuṣmad plurale
-          pronome di terza persona:                 tad tutti i generi e numeri
tadaśvaḥ il cavallo di lui, di lei, di loro
pronome saḥ
significa sia quello sia egli, lui e si trova come saḥ (cioè con visarga) soltanto in pausa
davanti ad a si trova nella forma so + ‘(avagraha)
davanti a qualsiasi altro suono si trova come sa
so ‘śvaḥ questo cavallo (sciolto il sandhi: saḥ aśvaḥ); sa nṛpaḥ questo re
saḥ è uno dei due pronomi che vengono tradotti con “quello”, l’altro pronome è asau (adas)
saḥ si riferisce a qualcuno che non alla presenza di chi parla
asau si riferisce invece a qualcuno che è lontano da chi parla ma che può essere anche visibile, asau è più forte di saḥ
pronome eṣaḥ
il pronome eṣaḥ questo è una forma composta del pronome dimostrativo saḥ quello
la declinazione è la stessa di saḥ
i due pronomi differiscono in quanto saḥ si riferisce a qualcuno che non immediatamente presente rispetto a chi parla, mentre eṣaḥ si riferisce a qualcuno che è a portata di mano e può essere reso anche con qui, qui è/qui sono, vedi ecc.
(in questi esempi il sandhi è già sciolto)
eṣaḥ saḥ brahmaṇaḥ qui c’è il brahmano (il brahmaṇo è qui)
eṣaḥ Rāmaḥ bālān ānayati vedi, Rāma porta i bambini (qui c’è Rāma che porta i bambini)
eṣaḥ udyānam praviśāmi vedi, sto entrando in giardino
in Sanscrito non esiste l’articolo determinativo e indeterminativo, ad esempio ācāryaḥ può essere tradotto come “il maestro” oppure “un maestro”. Quando la differenza è importante si ricorre a saḥ (quello)
citram etat questo è un ornamento
tat etat citram questo è l’ornamento
il pronome può essere usato da solo o per qualificate un sostantivo anche in forma interrogativa
taṃ śiṣyam icchanti (loro) vogliono quel discepolo 
na taṃ paśyami (io) non lo vedo
that icchasi? vuoi quello? lo vuoi?
ko nagaraṃ gacchati? chi va in città?
kaḥ śiṣyaḥ evaṃ vadati? quale discepolo parla così?
è frequente trovare frasi in cui il pronome è mancante come
hanta na gataḥ oh, (lui, egli) non è andato
qui il soggetto pronominale è completamente omesso e può essere desunto solo dalla forma maschile singolare del predicato gataḥ, questo accade anche nella coniugazione di un verbo finito come na gacchati (lui egli) non è andato, tuttavia nell’uso del participio passato i pronomi di prima e seconda di solito sono presenti altrimenti le persone non sarebbero distinguibili
pronome ayam (idam)
ayam è uno dei due pronomi che vengono tradotti con “questo”, l’altro è eṣaḥ, il primo si riferisce a qualcosa che è presente mentre il secondo a qualcosa che è più vicino a portata di mano, eṣaḥ si riferisce a qualcosa che precede ed è più forte di ayam, che si riferisce a qualcosa che segue
śrutvā etat idaṃ vadati avendo sentito questo, egli dice ciò che segue
aggettivi pronominali
alcuni aggettivi in a seguono la declinazione sia pronominale sia nominale
ad esempio l’aggettivo anya altro come pronome al nominativo/accusativo singolare neutro fa anyat
sarva tutto, eka uno e sva proprio sono pronomi tranne che al nominati/accusativo singolare neutro che fanno sarvam, ekam e svam
sarveṣāṃ nṛpānām ayaṃ mārgaḥ questa è la via per tutti i re
pronome enam
tradotto con lui – lei è un pronome che ha l’accusativo maschile neutro femminile e singolare duale plurale, lo strumentale singolare e il genitivo locativo duale; ma le forme più usate sono enam lui e enām lei

Prospetto generale dei verbi
Questo schema dà solo un’idea delle possibili coniugazioni di una radice verbale. Nella colonna di destra viene indicata parallelamente la formazione della maggiore coniugazione secondaria, il causativo. Certe forme possono essere teoriche piuttosto che usate nella pratica. Il dhātu in esame è:
√nī condurre (Ia)                      √nāya far condurre
Coniugazioni finite
sistema del presente                                                           presente causativo
indicativo       nayati egli conduce                                     nāyayati egli fa condurre
imperfetto      anayat egli conduceva                                anāyayat egli faceva condurre
imperativo      nayatu che conduca!                                   nāyayatu che faccia condurre!
ottativo           nayet egli può condurre                              nāyayet che possa far condurre
sistema del perfetto                                                             perfetto perifrastico causativo
indicativo       nināya egli condusse                                     nāyayām āsa fece condurre

aoristo                                                                                  aoristo causativo con
                                                                                              raddoppiamento
                        anaiÿīt egli condusse                                   anīnayat egli fece condurre
futuro                                                                                    futuro causativo
                        neÿyati egli condurrà                                  nāyayiÿyati egli farà condurre
condizionale                                                                         condizionale causativo
                        aneÿyat avrebbe condotto                          anāyayiÿyati avrebbe fatto
                                                                                                                       condurre
PASSIVO                                                                                PASSIVO causativo
                        nīyate è condotto                                        nāyyate è fatto condurre

Coniugazioni secondarie                                                    Coniugazioni terziarie
CAUSATIVO                                                                          desiderativo causativo
            (come sopra colonna di destra)        
                        nāyayati egli fa condurre                          nināyayiÿati volendo far condurre
DESIDERATIVO                                                                     desiderativo causativo
                        ninīÿati vuole condurre                             nināyayiÿu volendo far condurre
aggettivo        ninīÿu che vuole condurre            
sostantivo       ninīÿā il desiderio di condurre                  nināyayiÿā desiderio di far condurre
INTENSIVO
                        nenīyate egli conduce con forza
forme indipendenti:
aoristo passivo (solo alla terza persona singolare)             anāyi egli era stato condotto
precativo o benedettivo o aoristo ottativo                        nīyat possa condurre!

coniugazioni  derivate:
al grado base
PARTICIPIO PASSATO PASSIVO
nīta condotto                                                                     nāyita fatto condurre
PARTICIPIO PRESENTE
nītavant conducente                                                        nāyitavant causante la conduzione
assolutivo - gerundio
da solo             nītvā avendo condotto                              nāyayitvā avendo causato la conduzione
dopo un prefisso               -nīya                                           -nāyya
al grado forte
INFINITO
netum condurre                                                                nāyayitum far condurre
gerundivo – PARTICIPIO FUTURO PASSIVO
a)                    neya da condurre                                        nāyya da far condurre
b)                    netavya                                                         nāyayitavya
c)                    nayanīya                                                      nāyanīya
forme nominali derivate
aggettivo        netṛ che conduce                                          nāyayitṛ che fa condurre
sostantivo                portatore                                                              che fa fare il portatore
sostantivi        nayanam guida●●●●nayaḥ/nīti (f.)condotta prudente
                        -nī/-nāyin che conduce●●●●nāyakaḥ condottiero
netram (strumento per condurre)/nāyanam occhio

VOCABOLARIO
Verbi
I          ava + gam      avagacchati                capire
I          ā + gam          āgacchati                    venire
I          ā + nī              ānayati                        portare
I          gam                 gacchati                      andare
I          gai                   gāyati                          cantare
I          ji                      jayati                           vincere, conquistare
I          jīv                    jīvati                            vivere, essere vivo
I          dṛś                   paśyati                         vedere, guardare
I          nī                    nayati                          condurre, connettersi
I          bhram             bhramati                     aggirarsi, essere confusi
I          vad                  vadati                          dire, parlare
I          vas                  vasati                          vivere, dimorare
I          śuc                  śocati                          lamentarsi
I          sthā                 tiṣṭhati                         stare, fermarsi in piedi
I          smṛ                 smarati                       ricordare
IV       nṛt                   nṛtyati                         danzare
IV       mad                mādyati                       rallegrarsi
VI       iṣ                     icchati                         volere, desiderare
VI       upa + viś         upaviśati                     sedere
VI       prach              pṛcchati                      domandare
VI       pra + viś          praviśati                      entrare, andare o venire dentro
VI       likh                 likhati                          scrivere
Sostantivi maschili
aśvaḥ                          cavallo                        ācāryaḥ                      maestro
krodhaḥ                      collera                         gajaḥ                          elefante
candraḥ                      luna                             janaḥ                          persona, gente
naraḥ                          uomo                          paṇḍitaḥ                     paṇḍit, professore
parvataḥ                     montagna                    bālaḥ                          bambino, ragazzo
brahmaṇaḥ                 brahmano                    śiṣyaḥ                          scolaro
sūryaḥ                         sole
Sostantivi neutri
kṣetram                       campo                         jalam                          acqua
duḥkham                     dolore                         phalam                       frutto
bhojanam                   cibo                             vacanam                     parola, discorso
vanam                         foresta                        sukham                       piacere
Aggettivi
ramaṇīya                    piacevole                    vismita                        stupito, sorpreso
śīghra                         rapido, veloce             śobhana                      splendente, brillante, bello
svalpa                         piccolo, scarso
Avverbi e particelle
atra                             qui, in questo                      adya                            oggi
adhunā                        adesso                                 api                              anche, interrogativo
itaḥ                             da qui, in questo modo       evam                           così, perciò
katham                       come?, cosa?                        kva                              dove?
tatra                            là, lì                                    na                               no, non
punar                          ancora, per quanto, ma     punar api                    ancora una volta

Sandhi

“giuntura” esterna o interna, è di quattro tipi
vedere nella pagina Prospetti il sandhi consonantico e intervocalico: http://www.purnanandazanoni.com/prospetti.html
 vocale + vocale
vocale + consonante
solitamente la parola rimane invariata, eccetto nel caso in cui la vocale è breve seguita dalla consonante: ch diventa cch come in na cchinatti egli non taglia, se però la vocale è lunga il cambiamento è opzionale, tuttavia è obbligatorio dopo ā e mā: sā chinatti diventa sā cchinatti lei taglia.
consonante + consonante
consonante + vocale
posizione zero
la parola non seguita da un’altra parola, posta alla fine della frase, rimane invariata.
Il visarjanīya ḥ (visarga) rappresenta due suoni originari delle lingue indoeuropee: s e r, ed è posto alla fine di molte parole sanscrite. Queste parole sanscrite sono complicate per due motivi, il primo è se il visarga origina da s oppure r, il secondo dalla vocale che precede il visarga. Si può eliminare il primo problema prendendo r come la lettera di base nei casi relativamente pochi in cui il ḥ deriva da r e di riservare il ḥ per i casi in cui esso in origine rappresenta la s, benché la r finale potrebbe essere riservata ai soli casi in cui appare come ar o ār, dato che il loro sandhi finale in ḥ è identico a quello di quando la r è preceduta da qualsiasi altra vocale, una distinzione in questi casi potrebbe essere fatta solo dopo un’indagine etimologica, e non sempre anche allora.
Dopo le vocali diverse da a oppure ā, il ḥ e la r hanno lo stesso sandhi. Di solito la r appare davanti a una parola che inizia con un suono sonoro (g, j, ḍ, d, b, gh, jh, ḍh, dh, bh e le nasali), mentre la s oppure qualche altro suono sordo prima di una parola che inizia con una sorda. Inoltre, questo è il sandhi della r finale anche dopo a e ā (mātar, dvār). Ma dopo una ā, il ḥ finale prima di suoni sonori viene a cadere, e le parole che finiscono con aḥ cambiano l’aḥ in o prima di consonanti sonore. Prima di tutte le vocali, tranne la a breve, aḥ diventa una a: aśvaḥ iva = aśva iva come un cavallo, mentre invece davanti alla iniziale a diventa o e la a della parola seguente è sostituita dal segno in nāgarī (vedi le regole di scrittura Passo n. 1) = avagraha (nel traslitterato reso con un apostrofo): aśvaḥ asti = aśvo ‘sti è un cavallo.

REGOLE DEL SANDHI
il sandhi (saṁdhi) è un fenomeno fonetico evidenziato nel Sanscrito scritto, che significa unione, fusione, porre insieme
è il fenomeno con il quale le parole subiscono modificazioni in conseguenza dell’incontro di una parola con quella che la  precede o segue all’interno della frase
nei testi sanscriti tutte le parole sono riportate in scriptio continua, per cui vi è la necessità di separare le parole distinguendo quelle che hanno o non hanno subito modificazioni
nei testi poetici la fine della prima parte del versetto è segnata da un daṇḍa । mentre la fine del versetto è segnata da due daṇḍa ॥
le parole modificate per fatti (regole) di sandhi devono essere riscritte nella forma originaria prima di procedere alla traduzione della frase, questa operazione va sotto il nome di: “scioglimento del sandhi”
le parole sanscrite, prima di subire fatti di sandhi, possono terminare solo con una vocale (seguita o meno da visarga) diversa da ṝ e ḷ, dittongo oppure con una delle seguenti consonanti: k, ṭ, t, p, ṅ, n, m, r,
alla fine di parola o frase è permessa una sola consonante

sandhi del visarga
aḥ davanti alla vocale a: cade il visarga e la a diventa o, la a della parola che segue cade sostituita dall’avagraha (ऽ), parole separate
devaḥ asti → devo asti → devo ‘sti
saḥ aham → so aham → so ‘ham
saḥ ed eṣaḥ: cade il visarga davanti a tutte le consonanti, parole separate
davanti a parola che inizia con a vale la regola qui sopra (cfr. Morfologia Pronominale)
aḥ davanti a consonante sonora diventa o, parole separate
devaḥ gacchati → devo gacchati
aḥ davanti a vocale non a cade il ḥ, parole separate
devaḥ āste → deva āste sua maestà si siede (āste presente ātmanepada 3a pers. sing. verbo √ās)
āḥ davanti a vocale o consonante sonora cade il ḥ, parole separate
devāḥ atra → devā atra le loro maestà (maschili e/o femminili) sono qui
devāḥ gacchanti → devā gacchanti
visarga ḥ preceduto da vocale diversa da a e ā, seguito da vocale o consonante sonora diventa r, parole staccate
kaviḥ asti → kavir asti
kaviḥ gacchati → kavir gacchati
visarga ḥ davanti a c oppure ch diventa ś, parole unite
visarga ḥ davanti a ṭ oppure ṭh diventa ṣ, parole unite
visarga ḥ davanti a t oppure th diventa s, parole unite
visarga ḥ rimane invariato davanti a k, kh, p, ph, ś, ṣ, s, parole separate
sandhi consonantico
in generale
-       le consonanti sorde k, ṭ, t, p si sonorizzano davanti a consonante sonora, a vocale, a semivocale e aspirata (h)
-       opzionalmente k, ṭ, t, p davanti a nasale possono nasalizzarsi
-       t, n diventano palatali (c, ñ) davanti a nasale e si retroflettono (ṭ, ṇ) davanti a cerebrale
-       m davanti a consonante diventa anusvāra (ṃ), oppure è sostituita dalla nasale dello stesso gruppo
k davanti a vocale o a consonante sonora si sonorizza in g
vak anyā → vag anyā l’altra parola
k davanti a nasale può passare ṅ
vāk+maya → vāṅmaya eloquenza (sandhi interno)
n finale davanti a j e ś diventa ñ, parole unite
devān jayati → devāñjayati (egli) vince gli dei
devān śrayati → devāñśayati oppure devāñcharayati (egli) serve gli dei
n finale davanti a l e ś diventa ṃ, parole staccate
etān lokān → etāṃ lokan questi mondi
n finale davanti a: palatali c e ch, cerebrali ṭ e ṭh, dentali t e th, viene inserita una sibilante dello stesso gruppo e la n si trasforma in anusvāra, parole unite
śiṣyān tāḍayati → śiṣyāṃstaḍayati (egli) colpisce gli alunni
aśvān corayati → aśvāṃścorayati (egli)ruba i cavalli
n finale preceduta da una vocale corta e seguita da una vocale qualsiasi, si raddoppia e le parole si uniscono
smaran icchām → smarannicchām ricordando il desiderio (icchām pres. ottativo 1a pers. sing. di √iṣ)
la n e la m all’interno di una parola diventano anusvāra
haṁsa oca, cigno, spirito, anima (universale)
vaṁsa razza, dinastia
quando la n è seguita da vocale oppure da n, y, v e nella stessa parola è preceduta (anche non immediatamente) da ṣ, r, y, v, si trasforma nella cerebrale ṇ
in una parola da sola o in posizione finale di una frase, la finale s oppure r diventa ḥ
atra manas → atra manaḥ qui (è) la mente               punar → punaḥ ancora (da solo)
la r finale davanti a consonante sorda diventa ḥ oppure cambia nella sibilante corrispondente
punar patati → punaḥ patati cade di nuovo
punar taranti → punastaranti attraversano di nuovo
la m finale rimane invariata davanti a vocale, parole unite
putram arhati → putramarhati (egli) merita un figlio
la m finale davanti a semivocali, sibilanti e aspirata diventa anusvāra, parole separate
annam yacchati → annaṃ yacchati (egli) dà il cibo
la m finale davanti alle occlusive diventa anusvāra, parole separate, oppure nasale corrispondente, in questo caso le parole si uniscono
naram jayati → narañajayati (egli) vince l’uomo
gṛham tyajati → gṛhantyajati (egli) abbandona la casa
la t finale diventa d davanti a qualsiasi vocale e alle consonanti sonore , eccetto j, l e le nasali, parole unite
grāmāt aṭati → grāmādaṭati (egli) vaga (via) dal villaggio
pāpāt rakṣati → pāpādrakṣti (egli) protegge dal male
la t finale davanti a j, l e alle nasali si trasforma nella consonante che segue, parole unite
megāt jalam → meghājjalam acqua dalla nube
pāpāt lokāt → pāpāllokāt da un mondo cattivo
gṛhāt nayati → gṛhānnayati (egli) conduce (via) dalla casa
la t finale davanti a c e ch diventa c
sat cit ānanda → saccidānanda essere coscienza beatitudine
la t finale davanti a ś diventa c e la ś iniziale diventa ch, parole unite
śiṣyāt śikṣati → śiṣyacchikṣati (egli) impara dal discepolo
alla fine di una frase o di una parola che sta da sola:
la consonante aspirata si trasforma in consonante breve, non aspirata, della stessa classe
una palatale finale o l’h diventa k, l’h diventa t, la ṣ diventa t
āpad → āpat sfortuna                       budh → bhut uomo saggio              duh → dhuk latte
upānah → upānat sandalo              dṛś →dṛk aspetto                              vāc → vāk parola, voce
dviṣ → dviṭ nemico                           stubh → stup capra                          ruj → ruk malattia


sandhi vocalico
vocale + vocale → vocale lunga
a + a → ā                   ā + a    → ā                 a + ā → ā                   ā + ā → ā
lo stesso per la vocale i e per la vocale u
il sandhi non si applica se ī e ū sono desinenza di duale
he indra phale icchami oh Indra, desidero due frutti
e non si applica se la parola che precede è il pronome amī quelli, nominativo maschile plurale di adas tutto
a + i → e                    ā + i → e                    a + ī → e                     ā + ī → e
a + u → o                   ā + u → o                   a + ū → o                   ā + ū → o
na iti →neti non questo
a + ṛ → ar                  ā + ṛ →ar
mahā ṛṣi → maharṣi grande saggio
a + e → ai                  ā + e → ai
a + o →au                  ā + o → au
na eka → naika nessuno
i + a → ya                  ī + a → ya                  i + ā → yā                  ī + ā → yā
i + u → yu                  ī + u → yu                  i + ū → yū                  ī + ū → yū
i + ṛ → yṛ                   ī + ṛ → yṛ                   i + e → ye                   ī + e → ye
i + ai → yai                ī + ai yai                     i + o → yo                  ī + o → yo
i + au → yau              ī + au → yau
la vocale e e la vocale o davanti alla vocale a questa passa ad avagraha
vane atra → vane ‘tra qui nel bosco
bhāno atra →bhāno ‘tra qui, oh sole
la vocale e e la vocale o finali davanti a vocale diversa da a
e + a/ā → ay la y cade rimane uno spazio
vane āste → vanayāste → vana āste siede nel bosco
bhāno iti → bhānaviti → bhāna iti così, oh sole
i dittonghi ai e au finali, davanti a qualsiasi vocale
ai diventa āy la y cade e rimane lo spazio
au diventa āv ma la v non cade
bhāyāyai adhyeti → bhāryāyāyadhyeti → bhāryāyā adhyeti (egli) legge per la (alla) moglie
(bhāryāyai dativo singolare femminile di bhāryā moglie
adhyeti indicativo presente 3a persona singolare di adhi √i (egli) legge)
bhānau aṭati → bhānāvaṭati egli vaga nel sole

COMPOSTI samāsa
la frase sanscrita è formata da nomi (sostantivi, aggettivi), verbi, pronomi, avverbi, particelle, numeri ecc.; le parole sono scritte in continuo, seguendo regole di pausa dopo anusvāra, visarga, a fine verso, ecc. oppure per libera scelta di separazione da parte dell’autore
il sanscritista nell’affrontare il testo a) separa le parole b) scioglie il sandhi c) risale al tema di ogni singolo termine declinato e coniugato d) rileva le concordanze e) traduce il testo letteralmente f) compone la sintassi g) dà il senso alla frase
particolari sequenze di parole, due o più, unite tra loro, sono denominate samāsa composti, le cui regole di separazione, pur avendo caratteristiche comuni, sono diverse in relazione alle differenti strutture di composizione:
-          solo l’ultimo termine è declinato (caso, numero, genere), il termine o i termini che precedono appaiono sempre nella loro forma tematica
-          se i membri che precedono sono in consonante, si usa la forma ridotta es.: mahant appare come mahā grande
-          i pronomi appaiono nella loro forma tematica o al neutro, es.: tad oppure tat per il pronome personale di 3a persona egli, lui, quello, questo
-          nei composti aggettivali bahuvrīhi l’ultimo membro concorda con il termine a cui è riferito anche se in origine è di genere differente
-          nell’unione delle parole si applicano le regole del sandhi esterno
il composti sono raggruppati principalmente in cinque classi
1.      composti coordinativi o copulativi    dvandva coppia (DV)
2.      composti determinativi descrittivi     karmadhāraya che sostiene l’azione (KD)
3.      composti determinativi dipendenti    tatpuruṣa servo di questo (TP)
4.      composti aggettivali                          bahuvrīhi che possiede molto riso (BH)
5.      composti avverbiali                            avyayībhava indeclinabili
ad eccezione dei composti coordinativi, i cui membri sono relazionati sullo stesso livello, i composti determinativi devono essere scomposti in due unità in rapporto di subordinazione tra loro, il termine che precede può essere a sua volta costituito da altri due elementi e così via
la scomposizione parte dall’ultima parola e risale all’indietro ai termini precedenti ovvero ai composti che precedono, da separare allo stesso modo come in un gioco di matrioske, ad esempio:
yogaś cittavṛttinirodhaḥ → yogaḥ citta-vṛtti-nirodhaḥ (Yogasūtra di Patañjali I, 2)
questo composto è un tatpuruṣa vibhakti ṣaṣṭhī su un altro tatpuruṣa, dove il primo termine è citta-vṛtti e il secondo termine è nirodhaḥ cessazione
il primo termine, esso stesso un tatpuruṣa ṣaṣṭhī, è formato dal primo membro citta mente e dal secondo vṛtti fluttuazione
quindi la resa finale è
(lo yoga) è la cessazione delle fluttuazioni della mente

dvandva
i composti coordinativi, o copulativi chiamati dvandva, sono formati da membri in rapporto di coordinazione tra loro, come se fossero legati dalla congiunzione “e”
se il dvandva è costituito da due termini, quando i membri sono originariamente al singolare il numero della desinenza del composto è al duale
ācāryaśiṣyau āgacchatah il maestro e il discepolo arrivano
a stessa proposizione si potrebbe scrivere
ācāryaḥ ca śiṣyaḥ ca agacchataḥ
se invece si trattasse di: i maestri e il discepolo, oppure il maestro e i discepoli, oppure i maestri e i discepoli il composto sarebbe al plurale
ācāryaśiṣyāḥ agacchanti
in questo caso l’ambiguità riguardo al numero non sarebbe risolvibile
anche quando il composto è formato da più di due membri la desinenza è al plurale
aśva-gaja-bāla-narāh nṛtyanti cavalli elefanti bambini e uomini danzano
tuttavia possono presentarsi:
con la desinenza al neutro singolare
kṛtākṛtam ciò che è stato fatto e ciò che non è stato fatto
come aggettivi
kṛtākṛta fatto e non fatto ovvero fatto a metà - śukla-kṛṣṇa chiaro e scuro
con due participi passati passivi
dṛṣṭa-labdha visto e preso cioè preso non appena visto
quando i nomi pitṛ padre e mātṛ madre sono primi membri di dvandva indicante parentela e appaiono al nominativo singolare pitā e mātā
pitā-putrau il padre e il figlio – mātā-putrau la madre e il padre
particolari composti detti āmreḍita hanno valore iterativo
varo-varah il fior fiore, ogni più valoroso
aṅgād-aṅgāt da ogni membro
dyavi-dyavi oppure dive-dive ogni giorno
pade-pade a ogni passo
yo-yaḥ chiunque
vayaṃ-vayam proprio noi
upary-upari molto al di sopra
utthāyotthāya ogni volta che si alza

karmadhāraya
è il composto cosiddetto “determinativo descrittivo”, che può essere sia un sostantivo che un aggettivo, in cui il primo membro qualifica il secondo
quando il secondo membro è un sostantivo, il primo membro può essere un aggettivo o un sostantivo, quest’ultimo usato in senso aggettivale, definito “di apposizione”
quando il secondo membro è un aggettivo, la relazione è avverbiale, il primo elemento può essere un avverbio oppure se è un sostantivo è usato in forma avverbiale
si possono elencare queste possibilità:
1 AGGETTIVO + SOSTANTIVO
l’aggettivo qualifica il sostantivo
priya-vayasyaḥ caro amico
kṛṣṇa-śakuni → letteralmente nero-uccello che significa in realtà → corvo
l’aggettivo rimane in forma tematica anche se il sostantivo è al femminile
priya-sakhī cara amica
2 SOSTANTIVO + SOSTANTIVO
in questo caso il primo sostantivo è in relazione di “apposizione”
raja-ṛṣi il saggio re (il saggio che è anche re, o anche il re che è saggio)
composto con titoli
amātya-Bhūrivasu il Ministro Bhūvirasu
un altro caso è
dhvani-śabdaḥ la “parola” dhvani
nei nomi propri le parti si invertono
Sītā-devī la Regina Sītā
una particolare tipologia è costituita dai karmadhāraya di “comparazione” denominati upamāna-upamita comparante-comparato
si distinguono due forme
a)      rūpakam comparazione metaforica, per identificazione tra i due membri in cui non viene menzionata la proprietà in comune: “Quando la pittura del comparante copre totalmente il muro del comparato” [Candrāloka Jayadeva Pīyūṣavarṣa]
bhāṣyābdhiḥ commento-oceano (allude al mahābhāṣya di Vyāsa agli Yogasūtra di Patañjali), non è da intendersi nel senso di l’oceano che è il mahābhāṣya, ma bensì il mahābhāṣya che è profondo come un oceano, in senso metaforico
mahābhāṣyasamudram il commento è l’oceano stesso
b)     upamā simile, che ha una proprietà in comune
nilotpalam → nilam-utpalam il loto è blù il blu e il loto sono simili, hanno in comune la bluità
3 AGGETTIVO/AVVERBIO + AGGETTIVO
udagra-ramaṇīya → intenso-bello → intensamente bello
anche con secondo membro un participio passato
madhurokta → madhura-ukta dolcemente-detto → detto gentilmente
il primo membro può essere un vero avverbio
punar-ukta detto di nuovo               bahiḥ-śruta sentito fuori                   evaṃ-bhūta che è così
4 SOSTANTIVO + AGGETTIVO
prāṇa-priya caro (prezioso) come la vita
composti con prefissi o negazione (nañtatpuruṣa) con a oppure an davanti a vocale
su-deva buon dio               su-kṛta ben fatto                a-jñāna non conoscenza
duṣ-karman cattiva azione              adhi-loka mondo superiore (principiale)
l’aggettivo purva dopo participio ha senso avverbiale
adṛṣṭa-pūrva non visto prima
kṛta-purva fatto precedentemente

tatpuruṣa
è il tipo di composto chiamato “determinativo dipendente”, e anche questo può essere formato sia da sostantivi che da aggettivi
come gli altri composti, l’ultimo elemento è declinato mentre quello precedente appare in forma tematica e può essere una parola o più parole, che formano a loro volta altri composti
la parola che precede, anche se appare in forma tematica, in realtà è un termine declinato la cui desinenza si deduce dal contesto della frase, ad esempio:
rāja-putra figlio del re
è un tatpuruṣa vibhakti ṣaṣṭhī (genitivo) la cui resa una volta scomposto è rājñaḥ putra
altro esempio:
nṛpa-darśana letteralmente re-visione
darśana visione, si presenterà declinato in relazione al valore che ha nella frase
nṛpa re si presenta in forma tematica presumibilmente declinato al genitivo
anche in questo caso non c’è modo di sapere se nṛpa è reso come nṛpasya (genitivo singolare), oppure nṛpayor (genitivo duale) oppure come nṛpāṇām (genitivo plurale) e quindi la traduzione potrebbe essere: la visione del re, la visione dei (due) re, la visione dei re
nṛpa potrebbe anche essere declinato come ablativo nṛpāt o strumentale nṛpena, e quindi tradotto con la visione da parte del re
deva-datta dio-dato →devena-datta oppure devair (devaiḥ)-datta dato da dio/dagli dei
gṛhāgata → gṛha-āgata → gṛham-āgata → venuto a casa
alcuni sostantivi alla fine di un composto assumono significati particolari
viśeṣa eccellenza                mitra-viśeṣa → eccellenza di amico → amico eccellente
antara differenza                deśāntara→ differenza di ragione → un’altra ragione
tad-artham → a questo scopo
in alcuni composti, molti dei quali nomi propri, il primo elemento ha una desinenza propria
Dhanaṃ-jaya Che vince il bottina                               Vacas-pati Signore della parola
il secondo membro può essere un elemento radicale, che se finisce in i, u, r aggiunge una t, se termina in ā arretra ad a
veda-vid che conosce i Veda
viśva-jit (ji) che vince tutto
karma-kṛt (kṛ) che fa il proprio dovere
soma-pa (pā) che beve il soma
un esempio classico sull’ambiguità dei composti è:
rājapuruṣa re uomo
che può essere sia un karmadhāraya, scomposto in
rājan puruṣaḥ l’uomo re
oppure un tatpuruṣa cioè rājñaḥ puruṣaḥ l’uomo del re

bahuvrīhi
sono i composti determinativi denominati “composti esocentrici” o “composti possessivi” o “composti aggettivali”, formati da due sostantivi, un aggettivo e un sostantivo, o un indeclinabile e un sostantivo
il BH si distingue dai composti determinativi per il significato e, essendo un aggettivo, il secondo membro assume il genere grammaticale che concorda con il termine di riferimento
i nomi che finiscono in -tṛ e in ī prendono il suffisso aggettivale ka
da un qualsiasi composto determinativo si ottiene un bahuvrīhi
dal composto vīra (m.) eroe – senā (f.) esercito → vīra-senā esercito di eroi
si può avere il BH in tutti i generi anche senā è femminile
vīra-sena (m. n. f.) che ha un esercito di eroi
mṛta-bhartṛ morto-marito → mṛta-bhartṛ (m.) marito morto
mṛta-bhartṛka (m. n. f.) che ha il marito morto
gata-āyus (n.) andato-vita → gatāyus (m. n. f.) la cui vita è andata, morto
prajā-kāma che desidera figli
ud-griva che ha il collo in su
hasti-pāda che ha il piede di un elefante
kṛta-kṛtya che ha compiuto il proprio dovere
dur-manas malevolo                         su-manas benevolo
possono essere composti possessivi privativi
a-praja senza figli                              an-anta senza fine, infinito
alcuni membri finali assumono significati particolari
ādi (m.) inizio, ādika e ādya iniziale, prabhṛti (f.) inizio
hanno valore di eccetera, e tutti gli altri
siṃhādayaḥ gli (animali) aventi come inizio il leone cioè il leone e tutti gli altri animali
vyāghra-vṛha-prabhṛtayaḥ tigri, lupi ecc.
mahārājādi la (frase) che comincia con le parole mahā rājā
mātrā (f.) misura significa solamente
śabda-mātrā letteralmente che ha una parola come misura → solo una parola
mātrā totalità rāja-mātra che ha il re come misura → tutto ciò che è re → tutti i re
kalpa (m.) maniera e prāya parte principale valgono come, quasi
abhedya-kalpa quasi impenetrabile
amṛta-kalpa simile ad ambrosia
gata-prāya quasi andato

avyayībhava
composti avverbiali, cioè indeclinabili, nella forma dell’accusativo singolare neutro
presentano un indeclinabile al primo membro avvalendosi, tra gli altri, di prefissi quali
sa con, avente             nis senza mancante
sa-rupa avente forma                        sa-viṣa col veleno                              nir-āśa senza speranza
sa-putra avere un figlio da uno (opposto a putravant non avere figli)
yathāhra → yathā-ahra come merita                            yathokta → yathā-ukta come detto
prati-kriyam azione dopo azione, un’azione per volta
pratidinam giorno per giorno, giornalmente

Particelle
na = negazione: no non
ca = congiunzione: e
iva = introduce comparazione: sembrare
kim = è un pronome che indica “cosa ?”, marca la frase interrogativa
api = posto ad inizio frase è un marcatore di interrogativa forte
iti = ciò che precede tale particella è considerato discorso diretto, può aver valore anche di "in quanto"
eva = rappresenta il segno "virgola"
tat = all'inizio della frase ha valore di "allora"
atra = avverbio che può essere reso con qui oppure in questo modo, nel discorso indiretto può essere anche = là

PRONOMI

Per consultare i paradigmi completi si suggerisce di aprire la pagina:
http://www.purnanandazanoni.com/prospetti.html
Irregolarità sandhi
Sandhi esterno. Le vocali ī, ū ed e quando sono poste alla fine della flessione duale non sono soggette a sandhi e rimangono invariate.
Il nominativo singolare maschile del pronome tat ha due forme: sa quando è usato davanti a tutte le consonanti e saḥ in tutte le altre circostanze, cioè a fine frase o davanti a vocale, ma diventa sa per regola normale di sandhi prima di tutte le vocali tranne la a breve: sa gajaḥ quello è l’elefante, sa ācāryaḥ quello è il maestro, so aśvaḥ quello è il cavallo, aśvaḥ saḥ il cavallo è quello.
Frasi nominali
Frase caratterizzata dalla giustapposizione del soggetto e di un predicato non verbale. La proposizione di solito è formata da soggetto sostantivo e aggettivo predicato (bello ragazzo = il ragazzo è bello), in questo caso i due termini concordano per numero, genere e caso. Oppure da soggetto sostantivo e predicato sostantivo, in questo caso il numero e il genere possono non concordare. Se il soggetto è un pronome e il predicato un sostantivo il pronome concorda con il numero e il genere del predicato. Se il predicato è avverbiale, esso può essere composto da un avverbio oppure da un sostantivo espresso in un diverso caso rispetto al soggetto, come ad esempio un locativo.
Particella “iva”
È usata in relazione al predicato della frase nominale e mantiene il significato di “sembrare”, traducibile con l’avverbio “come”.
Dvandva = coppia (composti coordinativi)
Tipologia di composto in cui i diversi membri tranne l’ultimo, sono espressi nella loro forma tematica . La relazione che si instaura tra i membri di questo composto è quella di “congiunzione” come se vi fosse l’interposizione di un ca = “e”. Può esservi ambiguità nel definire il numero di appartenenza dei membri. Quando ad esempio il secondo termine è plurale e il primo, abbiamo detto, è in forma tematica: uomini e cavalli, uomo e cavalli, uomini e cavallo. In questi casi il numero è inevitabilmente plurale, cioè complessivamente tre o più elementi.

PARTICIPIO

Si concorda come un aggettivo (vedi frasi nominali 3.3). Si forma ponendo tre suffissi: ta, ita, na. La radice verbale tende comunque a rimanere invariata (senza guṇa e vṛddhi).
Particella ta: la radice arretra per saṃprasāna: vap = upta seminato, vac = ukta detto.
Particella ita: è l’applicazione della particella ta con l’ausilio di una i connettiva: pat = patita caduto.
Particella na: affissa ai verbi con terminazione vocalica: pṝ = pūrṇa pieno.
Il participio passato viene usato come aggettivo. Con il p.p. la particella enclitica api anche posposta assume un valore concessivo reso con: anche se, sebbene, per quanto, ancorché.
Caso strumentale tṛtīyā (terza desinenza)
In sanscrito i casi vibhakti sono sette:
il nominativo è chiamato la prathamā (vibhakti): la prima desinenza, il soggetto
l’accusativo: la dvitīyā: la seconda desinenza, il complemento oggetto e di moto a luogo
lo strumentale è la tṛtīyā: la terza desinenza.
È il caso che traduce il complemento di mezzo, d’agente e di compagnia. Al singolare spesso diviene un avverbio con uscita in ena: aśvena dal/col cavallo (strumentale, singolare maschile e neutro), aśvābhyām (strumentale, duale, maschile - neutro – femminile), aśvaiḥ (strumentale, plurale, maschile e neutro).
I pronomi personali allo strumentale sono declinati:
prima persona (io, noi) mat/asmat: mayā (singolare) āvābhyām (duale) asmābhiḥ (plurale)
seconda persona (tu, voi) tvat/yusmat: tvayā (sing.) yuvabhyām (du.) yusmābhiḥ (pl.)
terza persona (egli) tat: tena (m. sing.) tābhyām (m. du.) taiḥ (m. pl.)
Il pronome interrogativo neutro singolare duale plurale kim-ke-kāni? che cosa, cosa, chi, quale, perché? è reso con kena-kābhyām-kaiḥ
per le altre voci si consulti la tabella alla pagina:
http://www.purnanandazanoni.com/prospetti.html
lo strumentale può significare anche: con, per mezzo di, a causa di, attraverso, insieme con, da.
Participio passato passivo
Usato nella frase in cui il soggetto è espresso nel caso strumentale, il complemento oggetto diventa il soggetto espresso al nominativo e il verbo è al participio passato anziché al passato remoto. Esempio: benché stanchi, gli amici colsero la loro prima vera opportunità = la prima vera opportunità, benché stanchi, è (stata) colta dagli amici.
Esempio di vyākaraṇam analisi grammaticale di questa frase:
sanscrito traslitterato: pariśrāntairapi vayasyaiḥ prathama evāvasaro gṛhītaḥ
scioglimento del sandhi: pariśrāntaiḥ(1) api(2) vayasyaiḥ(3) prathamaḥ(4) eva(5) avasaraḥ(6) gṛhītaḥ(7) 
1 stanchi: aggettivo plurale strumentale, concorda con amici, per sandhi la r viene risolta in ḥ perché l’originale ḥ si trova prima della vocale della parola successiva (api)
2 anche se: particella enclitica con valore concessivo quando associata ad un participio passato
3 dagli amici: sostantivo maschile plurale strumentale, l’effettivo soggetto della frase
4 primo: aggettivo maschile singolare nominativo, concorda con opportunità, per sandhi era caduto il ḥ davanti alla vocale iniziale di eva
5 vera: avverbio, la ā lunga finale è risolta in a breve per sandhi vocalico nell’incontro con la a breve iniziale della parola successiva avasaraḥ
6 opportunità: sostantivo maschile nominativo singolare, la a all’inizio della parola è una a breve che per sandhi vocalico si era allungata (ā) per l’incontro con la a breve della fine dell’avverbio eva
7 colta: participio passato passivo del verbo della IX gṛhṇāti con dathu (radice) grah che per saṃprasārana diventa gṛhītaḥ (esito originario del p.p. in ita) e concorda al maschile nominativo singolare con opportunità
Particelle
eva particella enclitica che enfatizza la parola che la precede, può essere resa con: veramente, realmente, infatti, proprio, soltanto. Si immagini il rimarcare della parola se venisse pronunciata. Usata con un pronome dimostrativo (es. tat quello) prende il significato di qualcuno/alcuni.
eṣaḥ pronome dimostrativo “questo” è la forma composta del pronome saḥ “quello” entrambi esprimono la terza persona singolare. Il primo indica qualcosa che è vicino a portata di mano, il secondo qualcosa di non presente. La declinazione è simile ma con le modifiche morfologiche dovute al sandhi interno. eṣaḥ posto all’inizio della frase traduce “qui” con valore avverbiale. In combinazione con il verbo finito alla prima o seconda persona rende: vedi, sto entrando nel giardino. eṣaḥ … saḥ = questo … quello.
sahá sempre posposto, ha valore rafforzativo: “insieme a”
vā posta alla fine di ciò che deve disgiungere ha il valore di “oppure/o” (è l’opposto di ca)
kṛtam – alam il primo è: “fatto con” il secondo è: “abbastanza”, sono usati con sostantivi al caso strumentale per esprimere un’esortazione negativa
Avverbi di maniera. Sono composti da sostantivi al caso accusativo (neutro singolare) oppure allo strumentale (plurale o singolare) es. viṣādena = disperatamente.
Sandhi interno. Es. budh = sveglio → (budh-ta) → buddha risvegliato.
Retroflessione della s. La s diventa ṣ quando la s è preceduta da k r oppure da vocale diversa da a/ā indipendentemente dalla presenza di ṃ e ḥ purché non sia a fine parola o seguita da r.
Retroflessione della n. In preparazione.

DECLINAZIONI

 Caso dativo cathurtī (quarta desinenza)
“A” oppure “Per”. Tipica uscita in āya al singolare. È il meno usato per confluenza nel genitivo. Denota un oggetto indiretto dopo verbi come: dare, portare, dire ecc., oppure indica scopo e risultato, e come proprio predicato.
Caso ablativo pañcamī (quinta desinenza)
“Da”. Tipica uscita in āt. Esprime la preposizione “da” e anche causalità: “a causa di”, “per mezzo di”. Ha un uso limitato. Le uscite in āt e ena assumono valore avverbiale.
Caso genitivo ṣaṣṭhī (sesta desinenza)
“Di”. Tipica uscita in sya. È il complemento di specificazione con uscite in sya al singolare e ānām al plurale. Esprime la preposizione “di” e qualche tipo di possesso: di chi, di che cosa.
Caso locativo saptamī (settima desinenza)
“In”, “Su”, “Dentro”, In mezzo”. Tipica uscita in e al singolare e eṣu al plurale. Esprime stato in luogo ma anche il risultato di un movimento e denotare l’oggetto di un sentimento. Come dice Pāṇini il locativo rappresenta una dimensione sia spaziale che temporale.
Espressioni di tempo
Alcuni casi assumono espressioni di tempo.
a.       Accusativo: tempo durante il quale.
b.      Strumentale: tempo entro il quale.
c.       Ablativo (e qualche volta genitivo): tempo dopo il quale.
d.      Locativo: nel tempo di.
Pronome ayam
È un pronome anomalo perché deriva due temi: uno è a l’altro è i. Convenzionalmente si traduce il pronome “quello” con saḥ (una cosa che non è presente a chi parla) e con asau (la cosa è però visibile), mentre si traduce “questo” con ayam (la cosa è presente) e aṣaḥ (è a portata di mano); asau è più forte di saḥ, ed eṣaḥ è più forte di ayam. I pronomi sono intercambiabili tra loro e inoltre eṣaḥ può voler dire “ciò che precede” e ayam “ciò che segue”.
Aggettivi pronominali
Alcuni aggettivi in a si comportano come pronomi: anya altro al neutro singolare nominativo/accusativo fa anyat, sarva tutto, eka uno, sva proprio fanno sarvam, ekam, svam.
kaś cit – ko ‘pi (kaḥ api)
cit e api se seguono il pronome interrogativo lo trasformano in pronome indefinito: qualcuno, alcuno, qualche. La particella di negazione na li trasforma in: nulla, niente, nessuno.
Verbo essere “as”
Verbo irregolare atematico della II classe indica l’essere in senso ontologico. Le tre persone, spesso all’inizio della frase, valgono: c’è, ci sono…
                                                                    singolare                    duale                      plurale
1a persona                                                      asmi                        svaḥ                        smaḥ
                                                                     io sono                 noi due siamo           noi siamo
2a persona                                                        asi                         sthaḥ                        stha
                                                                       tu sei                  voi due siete              voi siete
3a persona                                                        asti                         staḥ                         santi
                                                                        egli è                  loro due sono             loro sono
Verbo essere “bhū”
Non è verbo copulativo, indica invece esistere cioè “divenire in essere” ed è un verbo regolare della I classe.
Verbo avere
Avere nel senso di possedere è reso usando il verbo essere e mettendo il soggetto possidente al genitivo con l’oggetto posseduto al nominativo.
Verbo sentire
Reso con la particella iva, quando (oltre a “come”) è usata con la prima persona: aśaraṇaḥ iva asmi mi sento abbandonato.
L’assolutivo
Mentre dall’accusativo antico deriva il verbo all’infinito: netum condurre, il gerundio (participio indeclinabile) deriva dallo strumentale, ha valore connettivo in quanto lega frasi subordinate a quella reggente, denotando perciò un’azione/evento accaduto nel passato rispetto alla principale.
È formato con il suffisso tvā (per part. pass. in ta oppure na): nītvā conducendo – dopo aver condotto.
Se però il dhātu è formato con un preverbio prende l’uscita in ya: avagamayya avendo compreso – comprendendo.
Particella khalu
Particella di enfasi, assume il valore di conferma: davvero, in effetti. Solitamente qualifica il soggetto ed è posposto.
Sandhi esterno
La n finale preceduta da una vocale breve si raddoppia quando la parola successiva inizia con una vocale.
La t combinata con una ś successiva diventa cch.

COMPOSTI

tatpuruṣa samāsa
Sono di due tipi:
a)      tatpuruṣa vibhakti composto determinativo di caso
b)     tatpuruṣa karmadhāraya composto descrittivo
uttara pradakta pradhāne la parte fondante è l’ultimo termine del composto che è il reggente
Tutti i termini nei composti si presentano nella loro forma tematica tranne l’ultimo. Si devono sciogliere i sandhi tra le parole. Si lavora sempre da destra verso sinistra, cioè si viene indietro dall’ultimo al primo.
Nel karmadhāraya abbiamo 4 possibili tipologie di composti: aggettivo + sostantivo, sostantivo + sostantivo, aggettivo/avverbio + aggettivo, sostantivo + aggettivo, quest’ultimo tipo implica comparazione.
Preposizioni
ā regge l’ablativo e di solito significa “su – sul” ed è posto davanti al nome a cui si riferisce
prati signica “riguardo a” e “con rispetto a” ma segue il termine di riferimento
anu con accusativo segue il nome col significato di “dopo”
saha comitativo (complemento di compagnia) relazionato al prefisso verbale sam significa “con”
vinā con lo strumentale “senza”
paścat con ablativo e genitivo “dietro”
madhye “in mezzo a”
apari “sopra” (greco apano)
Nomi di azione verbale in a
Derivano da radici verbali: krudh → krodhaḥ = rabbia, diś → deśaḥ = punto, posto, paese.
Radici con prefisso: sam + dih → saṃdehaḥ = dubbio.
Ambiguità sandhi esterno
nn può rappresentare t + n oppure n + n. Es. paśyannaste ← paśyan + āste, pasyan + nāste, paśyan + nāste
a prima di una vocale oltre che a può rappresentare aḥ oppure e. Es. aśva eva ← aśvaḥ + eva oppure aśve eva (aśvaiḥ strumentale)
ā prima di una consonante sonora può rappresentare āḥ oppure ā. Es. kanyā nayati ← kanyāḥ nayati oppure kanyā nayati
cch può rappresentare t + ś oppure t + ch. Es. asmācchalāt ← asmāt + śalāt oppure asmāt + chalāt
ggh – ddh ecc. può rappresentare una sorda seguita da h o da gh ecc. Es. asmāddhṛtāt ← asmāt + hṛtāt oppure asmāt + dhṛtāt
una vocale lunga seguita da r può rappresentare una vocale lunga o corta con ḥ oppure da sola. Es. śucī rakṣati ← śuciḥ rakṣati oppure śucīḥ + rakṣati oppure śucī + rakṣati.

CONIUGAZIONI

Le forme tematiche nominali con desinenza consonantica e con il femminile ī sono elencate nelle apposite tabelle.
1.   Forme verbali
Si è già visto l’indicativo presente della I classe (vedi 2.2)
presente          nayati/nayate             egli conduce
altri tempi finiti
futuro              neṣyati                        egli condurrà
passato            nīyate                         egli ha condotto
causativo         nāyayati                     è causa del condurre
desiderativo    ninīṣati                       vuole condurre
intensivo         nenīyate                     conduce forzatamente
Il causativo, che traduce il significato di causare qualcosa a qualcuno, è il più importante. Si forma aggiungendo il suffisso aya alla radice
con il grado guṇa: dṛś → darśayati causa il vedere
o anche vṛddhi: kṛ → kārayati è causa del fare, bhū → bhāvayati è causa dell’essere
come pure in forma base: gam → gamayati causa l’andare, tvar → tvarayati causa l’affrettarsi , eccezioni: duṣ → dūṣayati guastare, pṝ → pūrayati riempire
alcuni verbi con finale in ā, ṛ, adhi + i studiare e ruh salire, prendono il suffisso p: sthā → sthāpayati stabilire, ṛ → arpayati trasferire, ruh → rohayati oppure ropayati sollevare
anomalia importante: ghatayati ha ucciso, mette a morte → han uccidere
il causativo è usato per esprimere in un unico termine ciò che è reso con due termini diversi: jan venire al mondo → janayati generare, vi + dru correre via → vidravāyati fugare, scacciare, darśayati far vedere → mostrare.
Nell’uso del causativo con un verbo intransitivo il soggetto può diventare complemento oggetto. Se il verbo è transitivo il soggetto spostato può essere collegato o all’oggetto presente o a uno lontano attraverso l’accusativo oppure attraverso il complemento d’agente allo strumentale.
Verbi che reggono il doppio accusativo: smṛ ricordare → smārayati rammenta, aś mangiare → āśayati alimentare, pāyayati far bere, adhyāpayati insegnare, budh imparare → bodhayati informare, l’irregolare labh prendere → lambhayati far prendere.
Alcune radici verbali formano verbi causativi pur senza avere significato causativo: dhṛ → dhārayati tenere.
2.   Verbi della classe X
L’indicativo presente dei verbi della classe X è formato aggiungendo alla radice il suffisso aya (spṛh desiderio → spṛhayati desidera) come per i verbi causativi, pertanto i verbi di questa classe possono apparire causativi ma possono essere anche denominativi, cioè formati da sostantivi: chad → chādayati copre, kath → kathayati riferisce (da katham come?)
Karmadharaya con prefissi inseparabili
ci sono nomi verbali che iniziano con un prefisso: gamanam andando → nirgamanam uscente, da cui è possibile il verbo nirgacchati lui esce.
a volte i prefissi verbali vanno a comporsi con nomi a cui non corrisponde un verbo: adhi:pati oltre il padrone, ati:dura molto lontano, prati:nayanaṃ incontro di occhi, prati:śabdaḥ eco, ā:śyāmala scuro.
si ricorda che per convenzione le varie tipologie di composti nella didattica vengono indicati con una diversa punteggiatura di scomposizione: dvandva con [;], tatpuruṣa con [-], karmadhāraya con [:], bahuvṛīhi con [:_] (sovrapposti)
molti prefissi non vanno a comporsi con verbi:
su bene, molto → su:kṛta fatto bene, su:janaḥ brava persona, su:pakva ben cotto, su:vicāraḥ pensiero corretto
dus male, cattivo → dur:ukta che ha parlato male, duś:ceṣṭā cattiva condotta, dur:gandhaḥ cattivo odore. Notare: namas omaggio, inchino → namaskāra rendere omaggio, duṣ:kṛta fatto male.
corrispondenti al prefisso verbale saṃ (con lat. cum), ricorrono sa oppure saha insieme: saha:maranaṃ morire insieme, sa:brahmacārin compagno di scuola.
naṃtatpuruṣa: il più importante prefisso del karmadharaya è la particella a (davanti a consonante) e an (davanti a vocale) che viene preposta a tutti i tipi di forme nominali e verbali sostantivate. Associato al gerundio viene tradotto con “senza”: a:dṛṣṭvā senza aver visto.
purva precedente l’avverbio può trovarsi prima del termine che qualifica oppure dopo: purva:kṛṭa oppure kṛṭa:purva fatto prima, già fatto.
gata andato a è un participio passato messo alla fine di un composto con il significato di “essendo in”  cioè “entro” senza riferimento a movimento. Un altro significato è “con riferimento a” o anche “circa…” ed è usato come locativo nei verbi di sentire

COMPOSTI

bahuvrīhi
È una tipologia di composti con valore aggettivale: kṛṣṇa:_varna = avente nero colore (di colore nero)
frequente con aggettivo: mahānt grande → mahā:_puruṣa grande uomo
può basarsi su diverse diverse tipologie di karmadharaya
con prefissi: su/dus, anche con nomi che designano un’azione e assumono così nesso gerundivo
karmadharaya di comparazione in cui vi è un’inversione di termini: vadana:paṅkajaṃ il loto del suo volto → paṅkaja:_vadanā la ragazza dal volto di loto, in cui il termine paṅkajaṃ è esso stesso un composto tatpuruṣa vibhakti all’ablativo: nato dal fango.
Quando il primo elemento del composto bahuvrīhi è un participio passato come ad esempio in: dṛṣṭārtha il cui scopo è visibile il significato è facilmente comprensibile. Ma nel caso di dṛṣṭakaṣṭa il senso è ambiguo: la cui calamità è vista oppure quello da cui la calamità è stata vista.
La traduzione “avente” può essere sostituita da una preposizione: ramaṇīya:_darśanaḥ (uno) di bell’aspetto.
L’aggiunta di api determina il valore concessivo: avasita:_pratijñā:bhāropi anche se uno da cui l'onere della promessa si è adempiuto…
Il composto bahuvrīhi può comparire come predicato di una frase nominale: diṣṭyā jivita:_vatsāsmi grazie a Dio mi figlio è vivo
In frase interrogativa può essee impiegato il pronome interrogativo singolare neutro kim. Nel composto con il participio passato può essere reso con il passato prossimo.
Usato in senso avverbiale naman → nāma …di nome, nei composti bahuvrīhi nāmā maschile nāmnī femminile, usato nel composto con riferimento a quel nome.
Io sostantivo maschile ātman significa il “sé”, all’accusativo fa ātmānaṃ e al locativo ātmany, mentre al genitivo ātmanaḥ è usato in alternativa all’aggetivo riflessivo sva.
La forma tematica sva origina la forma indeclinabile svayam personalmente.
Doppio accusativo uno in opposizione all’altro, esplica la forma latina (accusativo + infinito) che nel sanscrito non è presente. Tale forma viene espressa tramite la particella iti con valore di discorso tra virgolette.
Sostantivi d’azione verbale in ana sono sostantivi che derivano da verbi e assumono la finale in ana e designano perciò un’azione: dṛś vedere → darśanam l’atto di vedere
saṃvṛtta è un participio passato usato spesso per esprimere un cambiamento di stato, equivalente al passato della frase nominale letteralmente: “diventato” oppure “essere diventato”. Questa funzione è svolta anche da jata da jan nascere.

POSSESSIVI

Temi in vant e mant
Sono modalità per formare il possessivo. Si può dire sitapakṣa ci sono le ali bianche, ma utilizzando il suffisso vant con tema in a e ā, si ha pakṣavant alato – che ha le ali.
Nelle forme tematiche in i ī u ū ṛ o iṣ uṣ si impiega il suffisso mant: dhīmant saggio (avente saggezza), Garutmant l’Alato (il divino uccello Garuḍa)
La declinazione di questi temi è lineare: il tema forte finisce in ant, quello debole in at, il femminile in atī, il nominativo singolare maschile in ān. Nella formazione dei composti la forma tematica è in at.
ātmanepada
parola in se stessa rappresenta la voce media del verbo per indicare un’azione che va a vantaggio del soggetto, mentre nel caso del presente indicativo parasmaipada parola per un altro è rappresentata la voce attiva cioè un’azione determinata da un’altra persona. La differenza è minima e presenta la tipica terminazione in “te”: yajati egli sacrifica (il prete fa il sacrificio per conto di), yajate egli sacrifica (il beneficio del sacrificio è per se stesso).
vartate dalla radice vṛt girare, ruotare: vartate procedere, essere in corso tradotto spesso con “essere, esistere” indica uno stato attivo: divenire ad esistenza, opposto ad uno “stato non attivo”
Participio passato attivo
Si forma aggiungendo la particella vant al participio passato passivo. La sua funzione è di essere un’alternativa “attiva” alla frase passata passiva: likhita scritto → likhitavant aver scritto. La differenza sostanziale dalla frase passiva è che il soggetto è espresso al nominativo e non allo strumentale: tena likhito lekhaḥ la lettera è scritta da lui → sa lekhaṃ likhitavān egli ha scritto la lettera. Quando il soggetto è alla prima o seconda persona di solito è espresso nella forma appropriata di as (verbo essere) solo raramente con il pronome, mentre alla terza persona vi è il pronome. Ovviamente il participio concorda con il soggetto nel numero nel genere e nel caso.
Composti preposizionali
Sono i samāsa in cui il primo membro è una preposizione: ati_mātra superamento della misura corretta da ati oltre + mātrā femminile misura. La preposizione ut su, alto nel composto ha il senso di rifuggendo.
Casi:
a)       karmadhāraya (sostantivo o aggettivo)
      ut:svanaḥ alto suono, uc:caṇḍa altamente, molto
b)       bahuvrīhi
      ati:_bala avente eccessiva forza, ut:_karṇa avente le orecchie su
c)        composti preposizionali
      ati_bodhisattva superante il bodhisattva, un_nidra vigile (rinunciante al sonno) notare il sandhi ut → un davanti a nasale n
caso particolare
con sa con, avente: sa_rūpa avente forma (avente la stessa forma), sa_viṣa con veleno: sa_viṣaṃ auṣadham medicina avvelenata
e con nis senza, mancante: nir_āśa senza speranza.
Questi prefissi non sono indipendenti ma sono posti nelle frasi tramite relazione di karmadhāraya. In particolare sa può assumere diverse sfumature di significato:
1 complemento di compagnia sa_putra āgataḥ è venuto con suo figlio (al posto di putreṇa saha) ha valore comitativo
2 congiunzione “e” sa_śaraś cāpaḥ arco e freccia
3 possesso sa_bala come balavant possedere forza, forte con la differenza che sa ha un senso di temporaneità mentre vant di permanenza
Composti yathā-samāsa
Sono composti in cui il primo termine è l’avverbio yathā come: yathā_nirdiṣṭa come specificato.
avyayībhāva (conversione indeclinabile)
Composto avverbiale al neutro singolare viene considerato un avverbio in forma indeclinata: anu_Mālinī-tīram lungo la riva della ṃālinī, prati-kriyaṃ da kriyā azione per azione = un’azione per volta, ā_mūlam fino alla radice, radicalmente.
Forma educata
Il pronome “voi” reso con bhavant forma contratta di bhagavant Vostra Maestà. È distinto da bhavant come participio presente di bhū, perché quest’ultimo al nominativo singolare maschile ha una a breve: sulabhaiva (sulabhā eva) Buddharakṣitā-priyasakhī bhavataḥ caro amico di Buddharakṣitā è stata proprio facilmente vinta da Vostro Onore. Nelle forme composte fa tatrabhavant Suo onore (lontano da chi parla), atrabhavant Suo Onore (qui presente). Al femminile bhavatī, tatrabhavatī, atrabhavatī.
In segno di rispetto è usata la seconda persona plurale yūyan - bhavantaḥ. Altri possibili modi per chiamare:
āryaḥ (maschile) āryā (femminile) Sua Eccellenza
āyuṣmant Venerando
bhagavant (m) bhagavantī (f) Sua Maestà
mahābhāgaḥ nobile signore
bhadra mio caro (vocativo) come forma colloquiale
janah
persona gente usato alla fine del composto indica pluralità non definita: kāmi:jānaḥ alcuni appassionati, appassionati in generale. Anche segno di rispetto: guru:jānaḥ anziani, tutori, guardiani, matṛ:jānaḥ (mia) madre
9.  diṣṭyā
Avverbio tradotto con “per fortuna” è usato per esprimere “molto piacere”, con il verbo vṛdh crescere, prosperare esprime “congratulazioni”, la ragione delle congratulazione è espressa spesso con lo strumentale Verbi denominativi
Sono verbi formati da nomi. La formazione più comune prevede l’aggiunta del suffisso ya e per la terza persona singolare yati: tapas austerità religiosa → tapasyati egli pratica l’austerità. Per le forme tematiche in a la vocale non è persa: deva → devayati egli è devoto a Dio, persona pia. Se il verbo è transitivo assumono la finale in *ayati, quando è intransitivo prende *āyate. A volte viene perso il suffisso ya e in ātmanepada rimane il suffisso te.
Derivazioni dalla vṛddhi
Rappresentano una formazione nominale secondaria. Sono composti dalla radice della prima sillaba in vṛddhi e l’aggiunta del suffisso a oppure ya. Le sillabe che terminano in a oppure ā perdono le loro vocali prima del suffisso. Esempi: puraṃ città → paura urbano → pauraḥ cittadino (come sostantivo maschile), puruṣaḥ uomo → pauruṣa virile → pauruṣaṃ virilità (sostantivo neutro). Dal sostantivo femminile Yamunā la Yamunā → Yāmunī relativo alla Yamunā. Da vidyā conoscenza → vaidya conosciuto → vaidyaḥ medico. Vi → vy → vaiy (per vṛddhi) vyākaraṇaṃ analisi grammaticale → vaiyākaraṇaḥ grammatico.
Nomi patronimici: Daivodāsa discendente da Divodāsa, Draupadī figlia di Drupada, Śaivaḥ seguaci di Śiva. Viṣṇu → vaiṣṇava.
Sostantivi neutri astratti vṛddhano in ya: adhika superiore → ādhikyaṃ superiorità.

PARTICIPIO

Participio presente
Le modalità di formazione sono due:
ant      (parasmaipada)
amāna            (ātmanepada)
la declinazione di ant differisce da quella di vant/mant per due casi:
nominativo singolare maschile in an
femminile neutro singolare in antī: paṣantī la veggente
è usato per azioni contemporanee a quella della reggente, altrimenti si usa il gerundio. Nell’esprimere la contemporaneità è spesso usato con api (anche se) che ha valore concessivo.
Il verbo essere as forma il participio presente sant (m) e satī (f), che può essere usato come aggettivo per dire “reale” o “vero”.
mahānt grande
è un irregolare, la forma tematica medio debole è mahat, mentre quella forte è in ānt. Il femminile è mahatī, mentre il nominale singolare maschile è mahān. La forma che appare nei composti è mahā.
enam
pronome enclitico che indica lui/lei/questo, però solo nei casi accusativo strumentale singolare, genitivo locativo duale. È usato per enfatizzare la terza persona del pronome.
Imperativo
solitamente solo alla seconda e terza persona, quello più comune è quello alla terza persona (per as è astu). Se la terza persona è usata per rivolgersi in una forma cortese, il verbo è posto al penultimo posto nella frase seguito da un pronome. La seconda persona all’imperativo del verbo bhu di solito non è posto ad inizio frase. Può essere usata la particella iti per esprimere un comando indiretto. Per esprimere una proibizione viene usata la particella mā, oppure alam che regge lo strumentale.
Nomi astratti
Si aggiungono il suffisso tvaṃ (neutro) e tā (femminile)
Frase esclamativa
Resa con la particella aho seguita da un sostantivo al caso nominativo. Se l’enfasi vuole essere posta sull’aggettivo che qualifica il sostantivo, la frase è capovolta e l’aggettivo diviene nome astratto.
garbhaḥ grembo oppure letteralmente “feto” oppure ventre, posto alla fine di un composto bahuvrīhi assume il significato di “contenente”
Nomi verbali in ti: bhakti devozione siddhi attingimento

TEMI NOMINALI

Forme tematiche in ṛ
Sono individuabili in due classi: nomi agenti e nomi di relazione. I nomi agenti terminano in tṛ con l’aggiunta al grado guṇa di una i connettiva. Dal suffisso di queste parole deriva il suffisso femminile ī.
I nomi di relazione normalmente sono al grado guṇa e assumono tṛ (accusativo plurale ṝḥ). Il suffisso ka lo ritroviamo nei composti bahuvrīhi. Altri composti presentano la finale in in. I nomi d’agente esprimono potenzialità per il passato.

Riferimenti bibliografici

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Complete sanskrit - Michael Coulson - Teach Yourself 2010 - London
Corso di sanscrito - Ashok Aklujkar - 2012 Hoepli
Corso di Sanscrito - Carlo Della Casa - 1998 Edizioni Unicopli
Grammatica Sanscrita - Saverio Sani - 2012 Fabrizio Serra Editore
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