Purnananda Zanoni
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REINCARNAZIONE

Immagine
di Swami Abhedananda -
Ramakrishna Vedanta Math - Calcutta - India
Titolo originale: Reincarnation
Testo tradotto e curato da Pūrṇānanda
www.purnanandazanoni.com


Prefazione

Questo libro è una trattazione illuminante sulla reincarnazione, trasmigrazione, resurrezione, evoluzione, ereditarietà ecc., temi sui quali il grande santo mistico e filosofo Swami Abhedananda ha sollevato varie questioni critiche a cui ha dato risposte razionali e scientifiche molto soddisfacenti. La modalità di trattazione come pure il linguaggio sono molto coinvolgenti, logici e lucidi. I concetti e le idee esposti sono profondi e penetranti. In ogni parte della sua esposizione traspare la non-dualità del Vedānta e il sublime spirito della tradizione indiana, sostenendo che i fenomeni dell’universo visibile sono legati alla legge cosmica di causa ed effetto. L’effetto è visibile e percepibile, mentre la causa è invisibile e impercettibile. Tutto il piano grossolano è sostenuto dalla causalità del mondo sottile. C’è qualcosa al di là di questo gigantesco universo manifesto, che non è stato creato dal nulla. Lo Swami aderisce allo satkāryavāda del Saṁkhya, della Mimāṁsā e del Vedānta.
Swami Abhedananda è dell’opinione che le impressioni sottili (saṁskāra) siano quelle che determinano e formano il carattere e il destino dell’uomo, in quanto il livello subconscio della mente è il deposito di innumerevoli impressioni. L’uomo è uno strumento in mano alle sue impressioni accumulate, ma può ancora controllarle creando impressioni contrastanti, proprio come un’abitudine è superata da un’abitudine contraria. L’uomo crea il suo futuro quando raccoglie i frutti conseguenti al suo presente, implicandosi in tal modo in un ciclo di nascite e morti. Gli hindū credono nella teoria della reincarnazione; sanno che lo Spirito, l’ātman, non muore perché è immortale. Il corpo è considerato lo strumento di lavoro dell’anima per raccogliere i frutti di questo lavoro. L’anima, il jīvātman, attraversa diversi stadi di graduale progressione e infine arriva al conseguimento definitivo che è la perfezione.
Il dibattito dello Swami sulla teoria dell’incarnazione ha dimostrato la profondità della sua conoscenza e l’efficacia del suo insegnamento. In particolare l’ultimo capitolo, quello sulla teoria della trasmigrazione, è tanto originale ed esclusivo quanto illuminante. In questa parte, il sapiente Swami espone la sua originale visione, ben saldo sul piano delle argomentazioni logiche, accettando le conclusioni della scienza moderna ma rifiutando le sommarie teorie di alcuni scienziati agnostici e materialisti, che sostengono la teoria dell’ereditarietà pretendendo con questo di spiegare tutto. Sulle credenze riguardo alla teoria della trasmigrazione egli rifiuta la visione del cristianesimo, dell’ebraismo, dei musulmani e dei parsi, avendo affermato che la teoria della trasmigrazione o metempsicosi è ritenuta da alcuni filosofi come il passaggio di un’anima da un corpo a un altro dopo la morte. Questa convinzione è sostenuta anche da Pitagora, Platone e i loro epigoni. Platone ha descritto in linguaggio mitologico nel Fedro come l’anima dell’uomo esce dal corpo morto ne prende uno nuovo per iniziare una nuova esperienza. Il concetto platonico di trasmigrazione prevede vite successive dopo la morte, e secondo questa teoria le anime possono scegliere il loro destino in relazione alle loro esperienze e alle tendenze del carattere, senza però subire le conseguenze delle loro buone o cattive azioni. Platone ritiene che le anime in generale scelgono il loro corpo partendo dagli animali inferiori. Ma la visione hindū della trasmigrazione è del tutto opposta. La teoria buddhista della rinascita è leggermente diversa da quella hindū, perché i buddhisti non credono nell’esistenza permanente di una entità come l’anima (atta), mentre gli hindū credono che l’anima sia permanente in un corpo impermanente. Lo Swami Abhedananda ha dimostrato la differenza tra la teoria vedāntica della reincarnazione e la teoria platonica della trasmigrazione. Secondo la prima, la scintilla della vita attraversa stadi inferiori per arrivare al livello superiore quello umano, e qui giunta non retrocederà in un corpo animale inferiore. La teoria platonica è opposta a questa in quanto insegna che le anime possono retrocedere in corpi di differenti animali. Ma Swami Abhedananda dice che, sebbene “ci siano passaggi nelle scritture hindū che apparentemente accennano alla regressione dell’anima umana in un essere di natura animale, ciò non significa che in questo passaggio necessariamente le anime siano obbligate a prendere un corpo animale. Possono aver vissuto come animali quando avevano un corpo umano, tant’è che possiamo trovare tra di noi alcuni esseri viventi come gatti, cani e serpenti in forma umana, e spesso questi sono più cattivi degli autentici gatti, cani e serpenti. Stanno raccogliendo i frutti del loro karman e manifestano la loro natura animale anche se fisicamente appaiono come esseri umani”. Swami Vivekananda sosteneva la stessa visione delle scritture tradizionali hindū, ma Swami Abhedananda ha audacemente mantenuto un atteggiamento razionale e scientifico ben più reazionario. Ci sono delle differenze tra il punto di vista di Vivekananda e quello di Abhedananda. Tylor, Seth Pringle-Pattison, Radhakrishnan e altri sostengono la stessa tesi dello Swami Abhedananda. Come lo Swami, il dr. Radhakrishnan nel suo libro La visione idealista della vita (1937, p. 292), dice: “È possibile che un uomo degeneri in un selvaggio, ma è pur sempre un uomo… È possibile che la rinascita in una forma animale sia un modo di dire riguardo a una rinascita con qualità animali”. Inoltre lo Swami Abhedananda ha portato una forte e convincente argomentazione a supporto del suo punto di vista: “noi abbiamo già subito un processo di evoluzione attraverso i gradi inferiori dell’organismo animale. Adesso che abbiamo superato questa fase perché dovremmo tornare ancora indietro?” Infatti, per lo Swami Abhedananda la reincarnazione dell’anima non è altro che il raggiungimento dello scopo finale della vita terrena; è il mezzo per perseguire il fine, ed è un andare verso lo scopo primario dell’essere umano che è la realizzazione della Coscienza divina.
Sulla reincarnazione, Swami Abhedananda ha tenuto molte lezioni a qualificate platee in occidente. Il Brahmavadin Journal (vol. III, aprile 1898, n. 14, 56) così riporta: “Alcune delle migliori lezioni, ad esempio quelle sulla reincarnazione, sono state ripetute anche tre volte e ancora ne è stata richiesta una quarta”. La prima lezione dello Swami sulla reincarnazione è stata tenuta il 13 febbraio 1898 a New York, come si trova nel suo scritto Leaves from my Diary: “Alle ore 15 del 13 febbraio, sulla Reincarnazione (ripetuta su richiesta)”. La seconda volta ha insegnato sullo stesso argomento domenica 13 marzo 1898, alle 15. Il tema della lezione era stato “Evoluzione e Reincarnazione”. Lo Swami ha così annotato sul già citato Leaves from my Diary: “Nel pomeriggio di domenica 13 marzo, alle 15, ho tenuto la lezione sull’evoluzione e la reincarnazione (che in seguito è stata pubblicata) davanti ad un pubblico di circa 200 persone. La lezione è stata molto apprezzata da tutti i presenti in sala”.
Ancora una volta lo Swami cita nel suo diario: “Domenica 15 febbraio (1899), alle 15, ho tenuto una conferenza pubblica su ‘Cosa è scientifica: la Resurrezione o la Reincarnazione?’ Il pubblico era di circa 100 presenti”. Il 15 marzo 1899, pronunciò, su richiesta, una lezione ancora una volta sull’evoluzione e la reincarnazione. Lo Swami così scrive: “Il 15 marzo alle ore 20, è piovuto forte per tutta la giornata. Ciò nonostante ho ripetuto su richiesta la conferenza pubblica su evoluzione e reincarnazione, durata un’ora e mezza davanti a 100 persone. Nella sala era presente la Prof.ssa Jackson della Columbia University che ha dimostrato particolare interesse a questo argomento”. “Il 28 marzo (1899)” annota lo Swami “è piovuto ancora fortemente tutto il giorno. Nel pomeriggio sono andato a vedere la signora Coulston e il signor Leggett. Il signor Vanderbilt mi ha fatto portare il saggio sulla reincarnazione e aveva fatto la stampa a sue spese di 2000 copie e me le aveva sottoposte. Questo era l’inizio della pubblicazione dei miei lavori. Il ricavato della vendita de La Reincarnazione, che all’inizio conteneva le tre lezioni: (l) cos’è la Reincarnazione, (2) cos’è scientifica: la resurrezione o la reincarnazione, (3) evoluzione e reincarnazione, è stato messo da parte e speso in altre conferenze e ristampe. Il signor Vanderbilt mi ha detto che queste lezioni erano state così buone e convincenti da pensare che chiunque avrebbe dovuto leggerle, e così si meritò il mio caloroso grazie per la pubblicazione delle mie lezioni sulla reincarnazione sotto gli auspici della società Vedānta di New York City”.
Un’altra lezione sulla reincarnazione venne tenuta dallo Swami Abhedananda il 17 aprile 1899, in Day Building Room 19 con un pubblico di oltre 130 persone. Il The Worcester Spy di New York del 18 aprile 1899, riporta: “Lo Swami Abhedananda ha dato di nuovo una lezione la sera scorsa davanti ad un numeroso pubblico in L’arien Hall, 206 Main Street. Il soggetto era “La forza vitale e la reincarnazione”.
Da questi elementi storici possiamo dedurre che la prima edizione del libro Reincarnazione è stata pubblicata il 28 marzo 1899. La seconda edizione era stata ampliata con l’ulteriore aggiunta di due altre nuove lezioni. Il presente volume è la nona edizione. Le precedenti edizioni hanno ottenuto la calda accoglienza dei lettori e siamo fermamente convinti che anche questa nuova edizione sarà apprezzata dai cultori della conoscenza. Un dettagliato indice dei contenuti è stato aggiunti in seguito per comodità dei lettori.

CAPITOLO I – Reincarnazione.
Causa e effetto - Corpi grossolani e sottili - Significato di corpo sottile - Saṁskāra e vāsanā - Azione volontaria e involontaria -Desideri, volontà e pensiero - Condizionamento ambientale -Selezione naturale -Teoria scientifica della reincarnazione -Aspetti filosofici della reincarnazione - Trasmigrazione e metempsicosi - Reincarnazione e cristianesimo - La reincarnazione per Wordsworth, Tennyson e Whitman - Giudaismo e Zoroastrismo e teoria dell’unica nascita - Bene e male sono termini relativi - Nulla si distrugge di questo mondo - La natura ci dà una bella lezione di rinascita  La legge della vita nella memoria - Ricordi della vita precedente - La mente subconscia - Che cos’è il citta - Le impressioni dormienti - I poteri straordinari - Ogni anima individuale contiene le esperienze precedenti - Gli yogi sviluppano la potenza della memoria - Nulla è sconosciuto all’uomo.

I fenomeni visibili dell’universo sono legati alla legge universale di causa ed effetto. L’effetto è visibile o percepibile, mentre la causa è invisibile o impercettibile. Il cadere di una mela da un albero è l’effetto di una certa forza invisibile chiamata gravità. Quantunque questa forza non sia percepita dai sensi, la sua manifestazione è visibile. Ogni fenomeno percepibile è in vario modo espressione di differenti forze che agiscono come agenti invisibili sulla sottile e impercettibile forma apparente della materia. Questi agenti invisibili o forze, insieme con le impercettibili particelle di materia costituiscono il piano sottile dell’universo fenomenico.
Quando una forza sottile si identifica nella forma, essa appare come un oggetto grossolano. Tuttavia, possiamo dire che ogni forma grossolana è un’espressione di qualche forza sottile che agisce sulle particelle infinitesimali della materia. Gli atomi di idrogeno e ossigeno quando vengono combinati in base a leggi chimiche, appaiono nella forma grossolana dell’acqua. L’acqua non può mai essere separata dall’idrogeno e dall’ossigeno, che sono i suoi componenti sottili. La sua esistenza dipende dalle parti che la compongono, o in altri termini, dalle forme sottili. Quando le condizioni delle parti sottili cambiano, anche la manifestazione grossolana cambia. La peculiarità nella forma grossolana di una pianta dipende dalla natura peculiare della sua forma sottile contenuta nel seme. La natura peculiare delle forme grossolane nel regno animale dipende dalle forme sottili che si manifestano variamente in ciascuno degli stadi intermedi tra l’unità microscopica della materia vivente e l’uomo più evoluto. Il corpo umano grossolano è in stretta relazione con il suo corpo sottile. Ma non basta, ogni mutazione o cambiamento della forma fisica è causato dall’attività e cambiamento del corpo sottile. Se il corpo sottile cambia un pò, anche il corpo grossolano cambierà nello stesso modo. Essendo il corpo materiale l’espressione del corpo sottile, la sua nascita, crescita, decadimento e morte dipendono dai cambiamenti del corpo sottile. Finché il corpo sottile permane, continuerà ad esprimersi nel corrispondente corpo grossolano.
Cerchiamo ora di capire meglio cosa intendiamo per corpo sottile. Non è nient’altro che il piccolo germe di una sostanza vivente. Contiene invisibili particelle di materia tenute insieme dalla forza vitale e possiede anche intelligenza o forza-pensiero allo stato potenziale, come il seme di una pianta contiene in se stesso la forza della vita e il potenziale della crescita. Secondo il Vedānta, il corpo sottile consiste nell’antaḥkaraṇa, che è l’organo interno o la sostanza mentale [nel suo complesso] con le sue varie modificazioni: pensiero, intelletto, senso dell’io, memoria; i cinque organi della percezione: vista, udito, odorato, gusto e tatto; i cinque organi dell’azione: la facoltà di afferrare, muoversi, parlare, evacuare e generare; e i cinque prāṇa, che in Sanscrito significa energia vitale ovvero il potere di sostentamento in noi. Benché il prāṇa sia unico, prende cinque differenti nomi in relazione alla prestazione di cinque differenti funzioni, e comprende le cinque manifestazioni della forza vitale. La prima, il prāṇa propriamente detto, è la funzionalità che muove i polmoni e permette all’aria di entrare nel corpo umano. La seconda è la funzione che porta fuori dal sistema ciò di cui il corpo non ha bisogno, in Sanscrito questo è chiamato apāna [soffio vitale discendente]. La terza, samāna, è preposta alle funzioni digestive atte a condurre le sostanze del nutrimento a tutte le parti del corpo; e viene detta udāna quando agisce per portare giù il cibo dalla bocca attraverso l’esofago fino allo stomaco e anche quando sovrintende all’azione del parlare. La quinta funzione del prāṇa è quella che agisce su tutto il sistema nervoso dalla testa ai piedi, attraverso ogni terminazione del corpo e lo preserva dalla putrefazione garantendo vita e benessere ad ogni cellula di ciascun organo. Queste sono le varie manifestazioni della forza vitale detta prāṇa. Queste potenze sottili associate ai componenti elementari del corpo grossolano, ovvero le particelle eteriche della materia sottile oltre alle potenzialità dei semi causali (intenzioni e tendenze che ogni individuo accumula nella sua vita), formano il suo corpo sottile. Come conseguenza di tutte le azioni della mente e del corpo compiute da un individuo nella sua attuale vita, ci saranno tendenze e desideri nella sua vita futura; nulla andrà perduto.
Ogni azione della mente e del corpo che noi facciamo, ogni pensiero che noi abbiamo, diventa sostanza sottile che viene accumulata sotto forma di saṁskāra, ovvero impressione nella nostra mente, dove rimane latente per qualche tempo. Dopodiché riaffiora sotto forma di onda mentale producendo nuovi desideri. Questi potenti desideri per il Vedānta costituiscono le vāsanā che sono responsabili dei nuovi corpi. Se le vāsanā ovvero le brame per i piaceri e gli oggetti mondani permangono in qualcuno, anche dopo cento vite quella persona dovrà rinascere ancora una volta. Niente può evitare il corso dei desideri forti: prima o poi i desideri dovranno essere appagati.
Qualsiasi azione volontaria o involontaria del corpo, dei sensi o della mente corrisponde alle tendenze latenti accumulate nel corpo sottile. Quantunque la crescita, lo sviluppo e tutti i cambiamenti del corpo fisico grossolano avvengano secondo cause precise, come pure la successione delle azioni e di conseguenza ogni atto individuale, la condizione in cui si trova il corpo, o meglio, l’intero processo attraverso cui il corpo esiste, non sono nient’altro che l’espressione esteriore di impressioni latenti accumulate nel corpo sottile. Su questi presupposti si basa il perfetto adeguamento del corpo umano o animale alle impressioni connesse alla sua natura umana o animale.
Gli organi dei sensi devono tuttavia corrispondere completamente ai desideri principali più forti e pronti a manifestarsi e sono quindi l’espressione visibile di questi desideri. Se non c’è appetito o desiderio di mangiare, la gola e i visceri non saranno utilizzati. Se non c’è desiderio di afferrare qualcosa o muoversi, le mani e le gambe risulteranno inutili. Analogamente può essere dimostrato che il desiderio di vedere, ascoltare ecc. è collegato all’occhio, all’orecchio ecc. Se non desidero usare la mia mano e non la uso mai, entro pochi mesi si paralizzerà e morirà. In India ci sono alcuni fanatici religiosi che tengono le braccia tese verso l’alto e non le usano più; dopo pochi mesi le loro braccia avvizziscono, cominciano ad irrigidirsi e muoiono rinsecchite. Una persona che sta seduta per sei mesi perde la capacità di camminare. Ci sono molti esempi simili che provano gli effetti lesivi per i nostri arti e organi causati dal loro disuso.
Come la forma umana, in generale, corrisponde al volere dell’uomo, così la struttura individuale del corpo corrisponde al carattere, ai desideri, alla nostra volontà e ai nostri pensieri. Tuttavia la natura esteriore non è nient’altro che l’espressione della nostra natura interiore. Questa natura interiore di ogni individuo è ciò che si re-incarna o si estrinseca successivamente in varie forme, una dopo l’altra. Quando un uomo muore l’io individuale cioè il jīva (come viene chiamato in Sanscrito), rappresentato dal germe vitale o anima vivente dell’uomo, non è distrutto, ma continua ad esistere in una forma invisibile, lasciando un tracciato permanente che tiene le singole vite infilate come perle di una lunga collana, secondo la legge di causa-effetto. Il corpo sottile è come una goccia d’acqua scaturita in un passato senza inizio dall’eterno oceano della Realtà assoluta che contiene il riflesso dell’eternamente splendente luce dell’Intelligenza universale. Come una goccia rimane per un po’ in uno stato di vapore invisibile all’interno di una nuvola, oppure come pioggia, neve, ghiaccio, vaporizzata o sotto forma di fango, senza esserne mai distrutta, così il corpo sottile rimane per un certo tempo immanifesto e qualche volta si esprime nelle forme grossolane degli esseri animali o umani che sono pronti a manifestarsi secondo i desideri e le tendenze latenti. Si può andare in paradiso, quanto su altri pianeti, oppure si può rinascere ancora su questa terra. Dipende dalla natura e dalla potenza delle tendenze e inclinazioni della mente avute durante tutta la vita. Questo concetto è espresso chiaramente nel Vedānta: “Il pensiero, il volere o il desiderare che sono molto forti durante la vita, diventeranno predominanti al momento della morte e plasmeranno la natura intima della persona morente. La natura interiore così plasmata verrà espressa sotto una diversa forma” (Bhagavadgītā). Il pensiero, la volontà o il desiderio che plasmano la natura interiore hanno il potere di selezionare o attrarre le condizioni e le circostanze che faciliteranno la manifestazione in questo senso. Questo processo corrisponde per alcuni aspetti alla legge di “selezione naturale”.
Saremo in grado di capire meglio questo processo studiando come in un ambiente comune i semi di differenti alberi producono specie differenti, assorbono e assimilano dalla terra diverse quantità e qualità di elementi. Supponiamo che due semi, uno di quercia e l’altro di castagno vengano piantati in una pentola. Il potere di crescita in entrambi i semi è della stessa natura. Ambiente, terra, acqua, calore e luce sono gli stessi. Ma ci sono delle peculiarità in ciascuno dei semi così che assorbiranno dallo stesso ambiente differenti quantità di elementi e altre proprietà che sono adatte per aiutare la crescita delle foglie, fiori, frutti di ogni albero in forma diversa secondo la loro peculiare natura. Si supponga che il castagno sia un ippocastano. Se, a causa di un cambiamento di condizioni, la natura peculiare dell’ippocastano cambiasse in quella di un castagno dolce, insieme con le modifiche nel seme, tutta la natura dell’albero e quindi anche foglie, fiori e frutti verranno modificati. In questo caso non verranno più assorbite e assimilate le sostanze e la qualità dell’ambiente come faceva quando era un ippocastano.
Allo stesso modo, attraverso la legge della “selezione naturale” l’ultimo pensiero formatosi nella persona morente farà scegliere e attirerà dall’ambiente ordinario quegli stati che saranno i più adatti alla sua corretta espressione e manifestazione. I genitori non sono nient’altro che gli elementi principiali per creare l’ambientazione per la reincarnazione dell’individuo. La natura interiore impressa nel corpo sottile dell’individuo dalla legge della “selezione naturale” involontariamente sceglierà, o sarà inconsciamente attratta, da genitori che saranno adatti alla sua nascita. Ad esempio, se ho un forte desiderio di diventare un artista e se dopo aver lottato tutta la vita senza riuscire ad essere il più grande, dopo la morte del corpo nascerò da certi genitori e in un certo ambiente che mi aiuterà a diventare il miglior artista.
L’intero processo è espresso nella filosofia orientale dalla dottrina della reincarnazione dell’anima individuale. Anche se questa dottrina comunemente viene rifiutata in occidente, è accettata senza riserve dalla stragrande maggioranza dell’umanità, al giorno d’oggi come era nei secoli passati. La spiegazione scientifica di questa teoria non si trova da nessuna parte, tranne che negli scritti degli hindū; sappiamo ancora che fin da tempi molto antichi era conosciuta dai filosofi, saggi e profeti di diversi paesi.
Nell’antica civiltà egizia si credeva in una forma primitiva della dottrina della reincarnazione. Erodoto dice: “Gli egiziani sostenevano la teoria che l’anima dell’uomo fosse imperitura, e che quando il corpo di una persona moriva la sua anima entrava in qualche altra creatura pronta a riceverla”. Pitagora e i suoi discepoli si diffusero in Grecia e in Italia. Pitagora diceva: “Tutto ha un’anima; tutto ciò che è anima vaga nel mondo organico obbedendo alla volontà della legge eterna”.
Nell’Ovidio di Dryden si legge:
“La morte non ha alcun potere di uccidere l’anima immortale,
e quando il corpo in cui attualmente si trova ritorna polvere,
cerca una nuova casa e con la sua forza
va in un nuovo essere dandogli vita e luce”.
Questo è stato il concetto fondamentale anche della filosofia di Platone. Platone dice: “L’anima è più vecchia del corpo. Le anime continuamente rinascono di vita in vita”. L’idea della reincarnazione era largamente diffusa in Grecia e in Italia da parte di Pitagora, Empedocle, Platone, Virgilio e Ovidio. Era nota nel neoplatonismo, in Plotino e Proclo. Plotino dice: “L’anima lasciando il corpo diventa quel potere che è molto più evoluto. Prendiamo allora il volo da qui giù per elevarci al mondo dell’intelligibile, che non potrà farci ricadere nella vita del sensibile per inseguire solo le chimere della materia...” È stato il principio fondamentale della religione dei Magi persiani. Alessandro il Grande accettò questa idea dopo essere entrato in contatto con i filosofi hindū. Giulio Cesare si era accorto che i Galli avevano delle loro convinzioni per quanto riguarda la pre-esistenza dell’anima umana. I Druidi dell’antica Gallia credevano che le anime degli uomini trasmigrassero in quei corpi le cui abitudini e personalità erano più somiglianti; anche i Celti e i Britanni aderivano a questa idea. Era un tema preferito anche dai filosofi arabi e da molti sufi islamici. Gli ebrei lo adottarono dopo la cattività babilonese. Filone di Alessandria, che era un contemporaneo di Cristo, predicava tra gli ebrei l’idea platonica della preesistenza e rinascita delle anime umane. Filone dice: “La società delle anime disincarnate è distribuita in vari ordini. La legge per alcune di esse è quella di entrare in corpi mortali e dopo alcuni periodi prescritti essere nuovamente libere”. Giovanni Battista era, secondo gli ebrei, un secondo Elia; Gesù è stato ritenuto da molti la ricomparsa di qualche altro profeta (cfr. Mt 16,14 e anche 17,12). Salomone dice nel suo Libro della Sapienza: “Ero un bambino dalla natura buona e quindi un’anima buona è venuta a me, e proprio perché ero buono sono venuto in un corpo senza macchia”.
Il Talmud e la Cabala insegnano la stessa cosa. Nel Talmud c’è scritto che l’anima di Abele passò nel corpo di Seth e poi in quello di Mosè. Con la diffusione della Cabala questa dottrina (conosciuta come trasmigrazione e metempsicosi) “ha cominciato a mettere radici nel giudaismo e acquisito credenti anche tra gli uomini che erano poco inclini verso il misticismo. Juda ben Asher (Asheri) per esempio, discutendo questa dottrina in una lettera al padre tentò di esporla su base filosofica” (Jewish Encyclopedia, vol. XII, p. 232.). Inoltre leggiamo: “I cabalisti adottarono con impazienza la dottrina a causa del vasto campo che offriva alle speculazioni dei mistici, essendo anche quasi un necessario corollario del loro sistema psicologico. La condizione irrinunciabile dell’anima è, secondo loro, il suo ritorno, dopo aver sviluppato tutte le perfezioni, del principio eternamente presente in essa, alla fonte infinita da cui è emanata. Un’altra vita deve pertanto essere concessa a quelle anime che non hanno adempiuto al loro destino terreno e non si sono sufficientemente purificate per ottenere l’unione con la Causa primordiale. Quindi se l’anima, nella sua prima assunzione di un corpo umano che appare sulla terra, scende per acquisire quell’esperienza, che è lo scopo della discesa dal cielo, e diviene contaminata da ciò che la può inquinare, deve riprendere un corpo fino a che l’anima è in grado di assurgere ad uno stato di purificazione attraverso ripetute prove”. Questa è la teoria dello zoroastrismo che dice: “Tutte le anime sono soggette a trasmigrazione; ma gli uomini non conoscono la via per arrivare al Santo, che sia benedetto! Non sanno che sono portati dinanzi al Tribunale sia prima di entrare in questo mondo che dopo averlo lasciato; essi sono ignoranti delle innumerevoli trasmigrazioni e prove segrete che devono subire e del numero di anime e spiriti che entrano in questo mondo e che non fanno ritorno al palazzo del Re celeste. Gli uomini non sanno di essere anime che ruotano come una pietra che viene lanciata da una fionda. Ma il tempo è propizio per quando questi misteri saranno rivelati” (Zohar, II, 99 b).
Come molti dei padri della Chiesa, i cabalisti utilizzano la giustizia di Dio come loro principale argomento a favore della dottrina della metempsicosi. Ma per poter credere nella metempsicosi hanno dovuto affrontare la questione del perché Dio permette spesso ai malvagi di condurre una vita felice, mentre molti giusti sono miserabili, interrogativo che sembrerebbe senza risposta. Inoltre anche il dolore inflitto ai figlioli sarebbe un atto di crudeltà, a meno che non si imponga una punizione per peccati commessi dall’anima in uno stato precedente. Isaac Abravanel vede nel comandamento del “levirato” una prova della dottrina della metempsicosi, a cui si danno i seguenti motivi: (1) Dio nella sua misericordia ha voluto che un’altra chance venisse data all’anima, che dopo aver ceduto al temperamento sanguigno del corpo aveva commesso un peccato capitale, come l’omicidio, adulterio, ecc.; (2) non è solo quando un uomo muore giovane che dovrebbe essere data una possibilità alla sua anima di compiere in un altro corpo le buone azioni che non aveva avuto tempo di fare nel primo corpo; (3) l’anima dei malvagi a volte passa ad un altro corpo al fine di ricevere la sua meritata punizione quaggiù anziché in un altro mondo, dove sarebbe molto più pesante. (Commentario al Deuteronomio, XXV, 5).
Il cristianesimo non è estraneo a questa idea. Origene e altri padri della Chiesa vi hanno creduto. Origene dice: “Dio nella sua giustizia dà una collocazione alle sue creature secondo i loro meriti, raggruppando le diverse anime in un apposito mondo, come se volesse ornare la sua magione, in cui non dovrebbero esserci solo vasi d’oro e d’argento, ma anche di legno e di argilla, alcuni per onorare e alcuni abbruttire, con questi vasi di differenti menti e anime. A ciò il mondo deve la sua diversità, mentre la Divina Provvidenza destina ciascuno secondo la sua predisposizione, la sua mente e le sue tendenze”. Dice anche: “credo che ci si possa domandare come accade che la mente umana è influenzata ora dal bene, ora dal male. Sospetto che le cause di ciò sia più antica dell’attuale nascita corporea.” L’idea della reincarnazione si diffuse così rapidamente tra i primi cristiani che Giustiniano fu obbligata a sopprimerla imponendo una legge nel Concilio di Costantinopoli del 538 d.C. La norma diceva: “Chiunque affermi il mito della pre-esistenza dell’anima e la conseguente convinzione di uno stupefacente ritorno della stessa, sia anatema.” Gnostici e manichei diffusero i principi della reincarnazione tra le sette medievali come i bogomili e i pauliciani. Fin dall’inizio alcuni dei seguaci di questa cosiddetta erronea convinzione furono crudelmente perseguitati nel 385 d.C. Nel XVII secolo alcuni dei platonici di Cambridge, come Henry More e altri, accettarono l’idea della rinascita. La maggior parte dei filosofi tedeschi nel medio evo e ai nostri giorni [fine XIX sec.] hanno sostenuto e accolto questa dottrina. Molte citazioni risultano dagli scritti di grandi pensatori, come Kant, Scotus, Schelling, Fichte, Leibnitz, Schopenhauer, Giordano Bruno, Goethe, Lessing, Herder e una miriade di altri. Il grande scettico Hume dice nel suo saggio postumo L’immortalità dell’anima: “la metempsicosi è quindi l’unico tipo di sistema a cui la filosofia può dare ascolto.” Scienziati come Flammarion e Huxley hanno sostenuto la dottrina della reincarnazione. Su questo il Huxley dice: “Nessuno che non sia un pensatore superficiale la relegherà nell’ambito di una intrinseca assurdità. Come la dottrina dell’evoluzione, quella della trasmigrazione ha le sue radici nel mondo della realtà.” (Evoluzione ed etica, p. 61).
Anche alcuni dei maggiori teologi hanno prospettato questa teoria. L’eminente teologo tedesco Julius Muller sostiene questa tesi nel suo lavoro su La dottrina cristiana del peccato. Eminenti teologi, come il Dorner, Ernesti, Ruckert, Edward Beecher, Henry Ward Beecher, Phillips Brooks, affermarono più volte la questione della preesistenza e della rinascita dell’anima individuale. Swedenborg ed Emerson l’hanno confermata. Emerson ha detto nel suo saggio sull’Esperienza: “Ci svegliamo trovandoci su una scala. Ci sono scale sotto di noi che ci sembra di aver scalato; ci sono scale sopra di noi, più d’una, che vanno verso l’alto senza vederne la fine.” Quasi tutti i poeti, antichi o moderni, ci credono. William Wordsworth in Intimations of immortality” dice:
L’anima che si eleva in noi, la stella della nostra vita,
ha avuto altrove la sua identità,
e viene da lontano.
Tennyson in Due voci scrive:
Oh, se sono venuto attraverso una vita inferiore/
sono diventato tutte quelle esperienze passate,
consolidate nel corpo e nella mente/
potrei dimenticare il mio destino che sbiadisce,
ma non abbiamo dimenticato il nostro primo anno?
non riecheggia nei recessi della nostra memoria.
Walt Whitman dice in Leaves of grass:
E tu vita, ti considero la conseguenza di molte morti,
non ho alcun dubbio che sono morto dieci mila volte prima.
Passi simili sono citati da quasi tutti i poeti di diversi paesi. Anche tra le tribù aborigene dell’Africa, Asia, Nord e Sud America si trovano tracce di questa credenza nella rinascita delle anime tanto che quasi tre quarti della popolazione dell’Asia crede nella dottrina della reincarnazione considerandola una soddisfacente spiegazione al problema della vita, non essendoci alcuna religione che neghi la continuità dell’anima individuale dopo la morte.
Coloro che non credono nella reincarnazione provano a spiegare il mondo delle disuguaglianze e delle diversità con la teoria dell’unica nascita o con quella della trasmissione ereditaria. Nessuna di queste teorie, tuttavia, è sufficiente a spiegare le disuguaglianze che incontriamo nella nostra vita di tutti i giorni. Coloro che credono nella teoria dell’unica nascita, che citiamo qui per la prima e ultima volta, non capiscono che l’acquisizione di saggezza e di esperienza è lo scopo della vita umana, né essi possono spiegare perché i bambini che muoiono giovani dovrebbero entrare in esistenza e passare via senza ottenere la possibilità di imparare qualcosa o a quale scopo è servita la loro venuta per una così breve apparizione, rimanendo nella totale ignoranza per poi svanire senza alcuna evoluzione. Il dogma cristiano, basato sulla teoria dell’unica nascita, ci dice che il bambino che muore poco dopo la sua nascita è sicuro di essere salvato e potrà godersi la vita e la felicità eterna in cielo. I cristiani che credono veramente in questo dogma dovrebbero pregare il loro Padre celeste per la morte dei loro figli subito dopo la nascita e ringraziare il Padre misericordioso quando la pietra tombale si chiude sopra le loro piccole bare. Così la teoria dell’unica nascita della teologia cristiana non è d’aiuto per far luce sulla problematica.
Due grandi religioni, l’ebraismo con i suoi due figli il cristianesimo e l’islam, e lo zoroastrismo, sostengono dunque la teoria dell’unica nascita. I seguaci di queste religioni, chiudendo gli occhi per l’assurdità e l’irragionevolezza di tale teoria, credono che le anime umane siano create dal nulla al momento della nascita dei loro corpi e che continuino ad esistere per l’eternità, soffrendo o godendo a causa delle azioni compiute durante il breve periodo della loro esistenza terrena. Qui si pone la questione: perché un uomo dovrebbe essere ritenuto responsabile per tutta l’eternità per le opere che è stato costretto a compiere in quanto predestinato per volontà del Signore dell’universo? La teoria della predestinazione e della grazia, invece di spiegare il problema, rende Dio parziale e ingiusto. Se Dio onnipotente (il Dio personale) ha creato le anime umane dal nulla, non avrebbe potuto creare tutte le anime buone e felici? Perché Egli fa sì che uno goda di ogni benedizione della vita e un altro debba soffrire delle sue miserie per tutta l’eternità? Perché uno nasce con buone tendenze e un altro con dentro il male? Perché uno è un uomo virtuoso per tutta la vita e un altro un essere bestiale? Perché uno nasce intelligente e un altro idiota? Se Dio ha fatto uscire da se stesso tutte queste disuguaglianze, o, in altre parole, se Dio ha creato un uomo per soffrire e un altro per godere, allora deve apparire come un Dio parziale e ingiusto! Deve essere peggio di un tiranno. Come possiamo adorarlo, come è possibile chiamarlo giusto e misericordioso?
Alcune persone cercano di salvare Dio da questa accusa di parzialità e di ingiustizia dicendo che tutte le cose buone di questo universo sono merito di Dio, e tutte le cose cattive sono opera di Satana. Dio ha creato ogni cosa buona, ma è stato Satana che ha portato il male in questo mondo e che fa fare tutto il male. Ora vediamo fino a che punto una tale affermazione è logicamente corretta. Bene e male sono due termini relativi; l’esistenza dell’uno dipende da quella dell’altro. Il bene non può esistere senza il male, e il male non può esistere senza essere legato al bene. Quando Dio ha creato ciò che chiamiamo bene, nello stesso momento deve aver creato il male, altrimenti non avrebbe potuto creare solo il bene. Se il creatore del male, comunque lo si chiami, ha portato il male in questo mondo, anch’esso deve essere stato creato in contemporanea con Dio; altrimenti sarebbe stato impossibile per Dio creare il bene, che può esistere solo in quanto connesso al male. Si dovrà ammettere che i creatori del bene e del male si siano seduti insieme nell’atto di creare questo mondo, che è un misto di bene e di male. Conseguentemente, entrambi sono ugualmente potenti ed entrambi reciprocamente limitati l’uno dall’altro. Pertanto nessuno dei due è dotato di poteri infiniti e quindi non si può dire che l’onnipotente Dio dell’universo abbia creato solo il bene e non anche il male.
Un altro argomento che i vedāntini avanzano a sostegno della teoria della reincarnazione è che “nulla si distrugge nell’universo”. La distruzione nel senso di annullamento di una cosa è un concetto sconosciuto ai filosofi del Vedānta tanto quanto lo è agli scienziati moderni. Si dice che “la non-esistenza non può mai diventare esistenza e che l’esistenza non può mai diventare non-esistenza” o, in altre parole, che ciò che non esisteva non potrà mai esistere, e viceversa ciò che esiste in una qualche forma non può mai diventare inesistente. Questa è una legge di natura. Come tale, le impressioni o idee che abbiamo ora, insieme con i poteri che possediamo, non andranno mai perdute, ma resteranno sempre con noi in un modo o nell’altro. I nostri corpi possono cambiare, ma i nostri poteri, il karma, i saṁskāra ovvero le impressioni latenti e anche la materia con cui è realizzato il nostro corpo, devono rimanere in noi seppure in forma non manifesta. Non potranno mai essere distrutti. Anche in questo caso la scienza ci dice che ciò che rimane in uno stato non-manifesto o potenziale, deve ad un certo punto manifestarsi in una qualche forma sottile o reale. Pertanto prima o poi dovremo inevitabilmente prendere altri organismi. È per questo motivo che nella Bhagavad Gītā è detto: “La nascita deve essere seguita dalla morte e la morte deve essere seguita dalla nascita”. Ogni germe di vita deve passare necessariamente in una serie continua di nascite e di morti. Un’altra considerazione è che l’avvicendarsi ricorrente di inizio e di fine è una percezione della mente umana, il loro significato dipende interamente dalla nostra concezione del tempo. Ma sappiamo tutti che il tempo non ha un’esistenza assoluta. È semplicemente una forma di conoscenza della nostra esistenza in relazione alle leggi di natura. La concezione del tempo svanisce nel sonno della morte, proprio come accade ogni sera quando cadiamo nel sonno profondo. La morte ripresenta lo stato del nostro sonno profondo. L’anima si sveglia dal sonno della morte proprio come si svegliano gli insetti in primavera dopo aver dormito durante il lungo e rigido letargo invernale e la crisalide dal bozzolo da lei stessa filato in autunno. Dal rinnovamento della crisalide in primavera, la natura ci insegna la grande lezione della rinascita e l’analogia tra il sonno e la morte. Dopo la morte l’anima si sveglia e provvede a rivestirsi di un nuovo corpo, proprio nello stesso modo in cui abbiamo indossato nuovi vestiti dopo aver gettato via quelli vecchi e logori. Così l’anima continua a manifestarsi più e più volte sia sul piano umano sia su qualsiasi altro piano di esistenza, essendo vincolata dalla Legge del Karma o di causa-effetto.
“La cosiddetta morte non è che la stoffa slisa del vestito che si cambiae si getta di stanza in stanza, l’anima è sempre la stessa, solo l’aspetto cambia”
Poema su Pitagora, Ovid di Dryden
Qui ci si può chiedere: se esistevamo prima della nostra nascita perché non ce ne ricordiamo? Questa è una delle obiezioni più forti spesso mossa contro la dottrina della pre-esistenza. Alcune persone negano la precedente esistenza dell’anima semplicemente perché non possono ricordare gli eventi del loro passato. Altri, ancora, che considerano i ricordi come la prova dell’esistenza, dicono che se i contenuti mentali cessano al momento della morte, con quelli si cessa di esistere; negano l’immortalità perché ritengono che la memoria sia la condizione di vita e se non ricordiamo allora non ci riconosciamo come siamo esseri viventi.
Il Vedānta risponde a queste domande dicendo che è possibile ricordare le nostre esistenze precedenti. Chi ha letto il Rājayoga ricorderà che nel verso 18 del terzo capitolo è detto: “Con la percezione dei saṁskāra si acquisisce la conoscenza delle vite passate”. Qui per saṁskāra si intende le impressioni del passato, esperienze che giacciono dormienti nel nostro sé subliminale, e non si cancellano mai. Un ricordo non è altro che il risveglio e l’affiorare delle impressioni latenti al di sopra della soglia della coscienza. Un rājayogin attraverso una profonda concentrazione su queste impressioni dormienti nella mente subconscia può ricordare tutti gli eventi della sua vita passata. Ci sono stati molti casi in India di yogi che conoscevano non solo le loro vite precedenti ma che potevano raccontare esattamente anche quelle degli altri. Si dice che il Buddha ricordasse le sue cinquecento nascite precedenti.
Il nostro sé subliminale, ovvero il subconscio, è il magazzino di tutte le impressioni che raccogliamo attraverso le esperienze nel corso della nostra vita. Sono memorizzate e impresse nel citta, come viene chiamato nel Vedānta. Il citta è la stessa mente subconscia, cioè l’io subliminale che è il deposito di tutte le impressioni ed esperienze. E queste impressioni rimangono latenti fino a quando vengono risvegliate da condizioni favorevoli che le fanno uscire sul piano della coscienza. Un esempio. In una stanza buia vengono proiettate immagini su uno schermo per mezzo di una fonte luminosa diapositiva. La camera è assolutamente buia e noi stiamo guardando le immagini. Supponiamo di aprire una finestra che permetta ai raggi del sole di mezzogiorno di cadere sullo schermo. Saremmo in grado di vedere queste foto? No. Perché? perché la maggiore diffusione di luce si sovrapporrà alla luce del proiettore e alle relative immagini. Ma anche se queste sono invisibili ai nostri occhi non possiamo negare la loro esistenza sullo schermo. Allo stesso modo, le immagini degli eventi delle nostre vite precedenti sullo schermo del sé subliminale per il momento possono essere invisibili a noi, ma esistono ugualmente. Perché adesso non riusciamo a vederle? Perché la luce più potente della coscienza le ha sovrastate. Se chiudessimo le finestre e le porte dei nostri sensi di contatto con l’esterno e oscurassimo la camera interna del nostro sé, puntando la luce della coscienza e concentrando i raggi mentali saremmo in grado di conoscere e ricordare le nostre vite passate e tutti gli eventi e le esperienze delle stesse. Coloro che desiderano quindi sviluppare la loro memoria e ricordare il loro passato dovrebbero praticare il rājayoga e imparare il metodo di acquisizione del potere di concentrazione chiudendo le porte e le finestre dei loro sensi. Il potere di concentrazione avviene per mezzo dell’autocontrollo mentale, controllando cioè le porte e le finestre dei nostri sensi.
Queste impressioni dormienti, che noi le ricordiamo o no, sono i fattori principali nella formazione dell’individualità con cui siamo nati, e sono le cause delle disuguaglianze e delle diversità che troviamo intorno a noi. Quando studiamo il carattere e le prerogative di personaggi che sono considerati dei geni non possiamo negare la pre-esistenza dell’anima. Qualsiasi cosa l’anima abbia imparato in una vita precedente questa si manifesta in quella presente. Il ricordo di particolari eventi non è così importante. Se possediamo la saggezza e la conoscenza che abbiamo raccolto nella nostra precedente vita, allora conterà molto poco se non ci ricordiamo le circostanze particolari o le lotte che abbiamo sostenuto al fine di acquisire quella conoscenza. Anche se quegli eventi particolari non riaffiorano nella nostra memoria noi non abbiamo perso la saggezza. Se si osserva il nostro presente vediamo che in questa vita si è acquisita una certa esperienza. I particolari eventi e le lotte che si vivono entrano nella nostra memoria e quelle esperienze hanno influito sul nostro carattere. La conoscenza acquisita attraverso queste esperienze ci ha plasmato in un certo modo. Non si dovrà passare ancora attraverso questi diversi eventi per ricordare come si è acquisita questa esperienza, la saggezza acquisita è quanto mai sufficiente.
Spesso troviamo tra di noi persone che nascono con qualche potere stupefacente. Prendiamo, per esempio, la capacità di autocontrollo. C’è chi nasce con un auto-controllo molto sviluppato, tanto che un’altra persona non ne può acquisire uno simile anche dopo anni di duro lavoro. Perché c’è questa differenza? Il Bhagavan Sri Ramakrishna, venuto alla luce già con un’innata coscienza di Dio, era entrato nel supremo stato di samādhi quando aveva quattro anni, uno stato molto difficile da acquisire per gli altri yogi. C’era uno yogin che era venuto a trovare Ramakrishna. Era un uomo anziano che possedeva meravigliosi poteri che gli aveva detto: “ho lottato quaranta anni per acquisire quello stato che in voi è naturale”. Ci sono molti casi che dimostrano che la pre-esistenza è un fatto, e che queste impressioni latenti o dormienti di vite precedenti sono i fattori principali nella formazione dell’individuo pur in assenza di una memoria del passato. Anche se noi non ricordiamo il nostro passato, a causa della perdita di memoria degli eventi particolari, il progresso dell’anima non viene arrestato. L’anima continuerà a progredire sempre di più, anche se la memoria è corta.
Ogni anima individuale possiede questo patrimonio di esperienze precedenti nel background della mente subconscia. Prendete il caso di due amanti. Che cos’è l’amore? È l’attrazione tra due anime. Questo amore non muore con la morte del corpo. Il vero amore sopravvive alla morte e continua a crescere, per diventare più forte e più forte. Alla fine mette insieme le due anime insieme e le rende una. Solo la teoria della pre-esistenza può spiegare perché due anime a prima vista si riconoscono l’un l’altra e si legano tra loro mediante la relazione. Questo amore reciproco continuerà a crescere e diventerà più forte, e alla fine unirà questi amanti insieme, non importa dove essi saranno. Pertanto, il Vedānta non dice che con la morte del corpo finisce l’attrazione o l’attaccamento delle due anime, ma come le anime sono immortali così il loro rapporto continuerà per sempre.
Gli yogi sanno come sviluppare la memoria e come leggere le vite passate. Loro dicono che il tempo e lo spazio esistono in relazione alla nostra attuale condizione mentale; se siamo in grado di elevarci al di sopra di questo piano, la nostra mente superiore vede il passato e il futuro, proprio come vediamo le cose sotto i nostri occhi. Quelli che desiderano soddisfare un minimo di curiosità delle loro menti possono impiegare la loro energia cercando di ricordare le loro vite passate. Ma penso che sarebbe molto più utile per noi se dedicassimo il nostro tempo ed l’energia nel plasmare il nostro futuro e nel cercare di essere migliori di quello che siamo ora, perché il ricordo della nostra precedente condizione potrebbe indurci a fare un cattivo uso del presente. Sarebbe infelice chi conoscendo le azioni malvagie della sua vita passata ne rimarrà influenzato cadendo subito dopo in disperazione, miseria, infelicità e sofferenza. Un tale uomo sarebbe così inquieto e infelice, che non sarebbe in grado di mantenere un atteggiamento corretto, soffermandosi sempre a pensare alle sue miserie. Non sarebbe più in grado di mangiare e dormire. Diverrebbe ancora di più un essere miserabile. Pertanto dobbiamo considerare una grande benedizione non ricordare le nostre vite precedenti e le azioni del passato. Il Vedānta dice: non perdete il vostro tempo prezioso a pensare alle vostre vite passate, non guardatevi indietro durante il viaggio faticoso attraverso le diverse fasi dell’evoluzione. Guardate sempre avanti e cercate prima di raggiungere il punto più alto dello sviluppo spirituale, poi se vorrete ancora conoscere le vostre vite passate ve le ricorderete tutte. Nulla rimarrà sconosciuto a voi che conoscerete l’universo. Quando l’onnisciente Sé divino manifesta la Sua volontà attraverso di voi, il tempo e lo spazio svaniscono, così passato e futuro verranno cambiati nell’eterno presente. Allora tu dirai come Sri Krishna disse ad Arjuna nella Bhagavad Gītā: “Sia tu che io siamo passati attraverso molte vite, tu non ne ricordi alcuna, ma io le conosco tutte”. (IV.5.)

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