LIBRI

Tantra - Lo Śivaismo del Kaśmīr
di Kamalakar Mishra (©2011) - Laksmi Edizioni Savona (2012)
testo tradotto e curato da Purnananda Zanoni - pagg. 487 - € 20,oo
Lo Shivaismo del Kashmir, la filosofia centrale del Tantrismo, in un'esposizione semplice e completa, sostenuta da una continua vibrante tensione per il Divino. Il libro è un'esplosione di prorompente amore per Dio, per la Sua conoscenza e la conoscenza di se stessi.
L'indispensabile complemento per chi segue la via dello yoga e decida di fare della propria vita un'esperienza di gioia, libertà e amore... senza sforzo.
di Kamalakar Mishra (©2011) - Laksmi Edizioni Savona (2012)
testo tradotto e curato da Purnananda Zanoni - pagg. 487 - € 20,oo
Lo Shivaismo del Kashmir, la filosofia centrale del Tantrismo, in un'esposizione semplice e completa, sostenuta da una continua vibrante tensione per il Divino. Il libro è un'esplosione di prorompente amore per Dio, per la Sua conoscenza e la conoscenza di se stessi.
L'indispensabile complemento per chi segue la via dello yoga e decida di fare della propria vita un'esperienza di gioia, libertà e amore... senza sforzo.
ERRATA CORRIGE
pag. 15 riga 16: principale → principiale
pag. 39 riga 24: qualcun → qualcuno
pag. 40 riga 10: naturalmente. → naturalmente (togliere il puntino)
pag. 74 riga 29: dopo “i Grammatici” togliere “la virgola” e la parola “che”
pag. 86 riga 11: a infinitum → ad infinitum
pag. 93 riga 21: acquisito → acquisita
pag. 118 riga 25: a infinitum → ad infinitum
pag. 165 riga 19: ānanda è → ānanda e
pag. 285 riga 5: analizzata → analizzato
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Benares - Assi Ghat

Prefazione all'edizione italiana
di Purnananda Zanoni

Non molto tempo fa, al termine di uno dei miei viaggi in India, mi trovavo per qualche giorno a Benares. Seduto in compagnia di mio fratello sui gradini prospicienti l’Assi Ghāt, sotto le cuspidi del tempio dedicato a Asisaṃgameśvara (il Signore della confluenza ad Assi), ammiravo il lento e pacifico fluire della Dea Gaṅgā e il brulicare della vita sulla riva del fiume sacro. Ero come rapito dall’esuberanza di suoni, colori, odori, canti, fuochi, in un continuo andirivieni di gente di ogni tipo. Mendicanti, turisti, barcaioli, bramini, donne venditrici di fiori, candeline rituali, mala per il japa, bambini vocianti, il gracchiare ininterrotto delle cornacchie e pigre capre stravaccate sulle pietre non più cotte dal sole del veloce tramonto, quando l’aria lattiginosa allenta la sua morsa rovente e l’umidità è meno insopportabile. Mio fratello mi chiede di accompagnarlo in una delle tre librerie del ghāt per prendere qualcosa da portare a casa essendo quelli i nostri ultimi giorni indiani. Lo seguo e in attesa che prenda gli incensi, musica indiana, il chai e altro, io compero alcuni libri. Il ragazzotto del negozio vede i miei interessi e lesto sfila dallo scaffale un libro e me lo mette tra le mani. Lo guardo perplesso, penso che ne ho già presi abbastanza, ho poco posto nello zainetto, non conosco gli autori, sono in inglese scritti da indiani e così via. Sto per posare il libro ma il simpatico giovane mi lancia uno sguardo ammiccante facendomi capire che quello lì è da prendere senza pensarci. Guardo il prezzo sul retro, è in rupie sembra caro ma fatto il rapido conteggio del controvalore mi dico che per quei soldi posso rischiare l’acquisto anche di quello.
Tornato a casa butto da una parte tutte le cose nuove riportate dal lungo e faticoso viaggio, senza alcuna voglia di metterle subito in ordine e solo dopo un mese riprendo in mano i libri. Apro quello preso “per caso” e leggo qualche frase qua e là. Subito mi sento come scosso dal modo in cui è scritto. È un libro di filosofia indiana di un professore di università in pensione, la B.H.U., (il prof. Kamalakar Mishra, che ringrazio con devozione e affetto per i colloqui che mi ha concesso l’anno scorso), ma, con tutto il rispetto, sembra scritto da un ragazzino di scuola media. Brevi pensieri semplici e quasi ingenui, parole dette, ridette e ripetute senza alcuno scrupolo per le regole del bravo scrittorino che di solito cerca di non ripetersi e sceglie sinonimi, termini alternativi, parafrasi e accorgimenti simili. Non erano solo lo stile e la forma che mi attraevano, ma soprattutto l’argomento. Dopo anni di decorosa convinta militanza tra le fila dei vedāntin iniziati e dopo aver letto e studiato tutto ciò che serviva della cultura religiosa indiana (per dare solo un’idea: Brahma-sūtra, Upaniṣad, varie Gītā, tutti i testi maggiori di Śaṅkara e anche i canti minori ecc.), avevo da poco iniziato lo studio dei testi Tantrici, seguendo i corsi tenuti dal sanscritista francese prof. Angot [michelangot.com]. Ora, improvvisamente e inaspettatamente, questo apparentemente semplice libretto di Kamalakar Mishra, che mi era stato “dato”, stava iniziando a parlare non solo alla mia parte intellettuale ma soprattutto entrava in profondità nel mio cuore.
Questo non è un libro devozionale; non si parla di dèi con il serpente al collo o sotto i piedi, di oscure dee dalle molte braccia in groppa a cavalcature bestiali, di rituali segreti, di formule liturgiche magiche, di asceti santi fachiri, di templi inacessibili, di simboli sacri e misteriosi, racconti mitici, e così via. Mi ero accorto che la modalità espositiva degli insegnamenti filosofici della dottrina, che qui viene spiegata molto chiaramente, il trika di Abhinavagupta, che è il fondamento del Tantrismo, è sostenuta da una continua vibrante tensione per il Divino. Il libro è un’esplosione di prorompente amore per Dio, per la Sua conoscenza e la conoscenza di se stessi.
Ogni volta che avevo sentito parlare del Tantra, constatavo che alla base di tutte le considerazioni che si possono fare attorno a questo a termine, vi è un grave fraintendimento. Quando ho iniziato a maneggiare il libro, avevo appena assistito a due conferenze, una sul tantra dell’amore e l’altra sul tantra-yoga. I due relatori mi sembravano entrambi abbastanza fuori strada e avendoli poi intervistati personalmente avevo avuto la conferma che, sempre con tutto il rispetto, del tantra non ne sapevano proprio niente. E così credo molte persone che associano immediatamente il tantra con il libertinaggio sessuale e le sculture erotiche templari, nulla di più.
Essendomi votato nella mia vita alla causa della Tradizione eterna (il Sanātana-dharma), mi ero dunque riproposto di far luce su un tale malinteso così antipaticamente diffuso. Questo libro è il mezzo con cui chiunque, qualunque sia il suo progetto filosofico di vita, il suo rigore intellettuale, la sua sensibilità religiosa e il suo livello di moralità ed etica, può ampliare e arricchire la sua visione, avendo questo libro la prerogativa di essere un trattato semplice e paradigmatico su tutta la materia. Ma vi è di più. Si è soliti dire che un trattato filosofico può essere informativo o formativo, io ritengo che questo libro sia un testo trasformativo, per la metamorfosi spirituale (metànoia) di ognuno. Vi sono toccati tutti i temi cosiddetti esistenziali, le domande di senso della vita che se ci si dedica a ricercarne le risposte la rendono degna di essere vissuta. Vediamone alcuni.
Sapere chi siamo veramente, o forse sarebbe meglio dire che “non” siamo. Il problema dell’auto-conoscenza al di là dell’impianto epistemologico convenzionale umanistico e scientifico. Qual è la natura della Realtà. I nostri studi ci riportano alla memoria la proposizione di Leibnitz: “Perché vi è, in generale, l’essente e non il nulla”. È la domanda della metafisica fondamentale (alla quale a parer mio manca ancora una risposta convincente da parte della filosofia). Qual è lo scopo della nostra esistenza. Fëdor Dostoevskij dice: “Il segreto dell’esistenza non sta soltanto nel vivere, ma anche nel sapere per che cosa si vive”, gli fa eco la Mère (la compagna spirituale del mistico indiano Sri Aurobindo) quando dice: “Chi vive senza uno scopo vive senza gioia”. Qual è il destino di una persona. In altre parole che cosa succede quando si muore. E ancora molti altri non meno importanti: l’amore, la creazione, il male, il libero arbitrio, il sesso, il peccato, le leggi cosmiche, la pratica spirituale, il risveglio ecc.
Non deve spaventare se il libro si presenta essenzialmente come un testo di filosofia. La filosofia indiana è
diversa da quella occidentale, perché mentre quando si parla di filosofia occidentale si parla di qualcosa di teoretico, speculativo, sistematico, analitico, deduttivo, accademico, a volte astratto (spesso incomprensibile ai più), la filosofia indiana invece è intuitiva, induttiva, sintetica, un tutt’uno con l’esperienza della vita, con la fede religiosa, con l’etica, con la psicologia, con l’attenzione per il sociale, con la pratica spirituale (sādhanā) per la salvezza (la liberazione), che è prima di tutto uno stile di vita e comprende tutto ciò che riguarda la triade fondamentale della realtà: l’Uomo, Dio, il Cosmo.
Questa corrente filosofica, chiamata Śivaismo del Kaśmīr, che viene definita la filosofia centrale del Tantrismo, per molti aspetti rappresenta, a mio avviso, l’apice della millenaria saggezza dell’India. Come sappiamo ci sono due filoni principali della sapienza indiana: la śruti (che significa audizione, rivelazione e conservazione nella memoria) e la śmṛti (legata alla scrittura) che, tralasciando altre importanti scuole come quelle buddhiste, corrono lungo i due versanti dell’unica Tradizione culturale e religiosa. Il primo è quello vedico (l’induismo brahmanico) ovvero dei sei sistemi dottrinali scolastici ortodossi (che sono sei solo convenzionalmente ma in realtà sono di più): sāṃkhya, yoga, vaiśeṣika, nyāya, pūrva mīmāṃsa e vedānta¸ l’altro è quello degli Āgama e dei Tantra (l’induismo tantrico).
La collocazione temporale (molto relativa sotto l’aspetto filologico per l’India che bada più a cosa si dice che a quando lo si è detto e da chi) del tantra non è meno riconducibile agli albori della civiltà del subcontinente di quella vedica e aborigena dravidica, ma la sistematizzazione di questi scritti è avvenuta mille anni fa o poco più. Questo ha permesso allo Śivaismo del Kaśmīr di arrivare per ultimo, dopo che la tradizione di tutte le conoscenze rivelate e tramandate si era sedimentata da secoli grazie agli studi dei ricercatori e nella coscienza della gente. Personalmente, e sottolineo ancora una volta personalmente, considero lo Śivaismo del Kaśmī l’apogeo dell’esperienza filosofica e metafisica di ogni tradizione sapienziale umana, di tutti i tempi e luoghi fino ad oggi conosciuta. Come sappiamo l’indagine metafisica occidentale a partire dalla seconda metà del primo millennio, a causa dell’oscurantismo perpetrato dal cristianesimo, ha abbassato la saracinesca e se l’uomo di oggi desidera esplorare questi territori spesso deve andare in Oriente (la metafisica e la mistica Sufi, induista, buddhista, Taoista, Zen ecc.).
Ma il tantra è attuale anche per altre ragioni. Assistiamo da qualche decennio ad una propagazione delle teorie della cosiddetta New Age, che fanno tanta presa sugli animi assetati di verità, sensibili ai segreti dell’esistenza del mondo visibile e invisibile, formale e informale, manifesto e immanifesto. Ebbene, lo Śivaismo del Kaśmīr pensa che l’uomo funzioni come l’universo e che la coscienza sia creativa (Dio crea l’universo e io posso modificarlo), proprio come una new age ante litteram per il suo indulgere ai concetti di ritmo, energia, potenza, forza, vibrazione, frequenza, suono, poteri, onde, corpi sottili e simili. Anche la fisica quantistica ne è la conferma con le sue teorie apparentemente antinomiche come l’universo olografico [Tutto è Uno di Michael Talbot] e il multiverso o la gemmazione degli universi, il campo unificato e il continuum discreto (la costante di Planck), le superstringhe e la stringa unica, il bosone di Higgs e l’entanglement, la schiuma quantica stocastica (il principio di indeterminazione) e le undici dimensioni, e chissà quant’altro. Tutte ipotesi già previste dai veggenti migliaia di anni fa [Il Tao della fisica di Fritjof Capra].
Solo per fare un esempio, anche un racconto mitico del Vangelo potrebbe essere commentato esaurientemente con le categorie tantriche. La trasfigurazione. Gesù prende con sé tre apostoli (rappresentano l’uomo ignorante) e sale su un monte; segue una veglia di preghiera (meditazione profonda, un samāveśa) e Gesù appare ai discepoli in compagnia dei profeti Mosè ed Elia. Dopo un po’ i volti e le vesti di questi diventano bianchi, sfolgoranti. Pietro, Giacomo e Giovanni sono sconcertati, vorrebbero stare lì in eterna contemplazione, ma poi ritornano alla loro realtà (la realtà ordinaria, relativa, di superficie, mortale) di dormienti. Che cosa vuole rivelare l’evangelista? Gesù ci mostra la sua vera natura e poiché il Padre conferma questa natura divina suggellata dalla relazione padre-figlio, qual è dunque questa natura divina? È la luce: Dio è luce e il Figlio è luce. Ora, dal momento che il Figlio, grazie all’incarnazione, è l’archetipo principiale di tutti gli uomini, ne consegue che la natura dell’uomo è la luce, cioè una vibrazione che non è materiale ma ideale della sostanza del pensiero (divino). La parola Dio viene dal sanscrito dyaus (dyauttra = luce), che poi diventa anche Théos, Deus e per noi Dio. Dyaus vuol dire luce. Dio è Luce, noi siamo Luce.
Prendiamo un altro tema cruciale per dare dei punti di riferimento nella nostra vita come genere umano. La creazione. È ovvio che nulla può essere creato ex-nihilo. Il mondo è eterno, è un’emanazione continua. Per il tantra la creazione è un immenso infinito “atto d’amore”, un accoppiamento cosmico che, su scala umana, viene esaltato, sacralizzato, ritualizzato e preso a simbolo della Realtà, la cui natura è: “cit”, la Coscienza, il soggetto (come pure l’oggetto) è sia Śiva che Śakti, il Dio e la Dea, che nell’amplesso sono uniti nell’Uno che è consapevolezza assoluta; “ābhāsa”, in quanto nell’apparenza questi “sembrano” essere due; “icchā”, la volontà, il desiderio di compiere l’atto; “jñāna”, la conoscenza immaginativa, nell’atto c’è la profonda convinzione di realizzare ciò che si vuole essere e fare veramente; anche a livello di “vimarśa”, l’ideazione dei movimenti; “kriyā”, il dinamismo, l’atto d’amore non è passività ma azione spontanea; “spanda”, vibrazione, i corpi fremono nella sacralità dell’atto; “svātantrya”, libertà, in quel momento gli amanti sono assolutamente liberi da tutto e da tutti e possono fare tutto ciò che vogliono; “vāc” parola e “śabdha” suono, quante parole e gemiti si dicono e si sentono nell’atto d’amore; “līlā”, il gioco, tutti i giochi d’amore che si fanno, e il fare l’amore non è forse un gioco; “yoga”, unione, l’unità con l’amato, con il tutto e con il Divino, la soppressione/sospensione delle modificazioni della mente (lo yoga è lo stato intransitivo del mentale), nell’amplesso la mente viene annullata, semplicemente si è ciò che si è, l’ego sparisce emerge solo il Sé che culmina nell’attimo eterno dell’“ānanda”, la beatitudine, gioia sublime, appagamento totale: l’io (l'ego) non c’è più, ma solo l’amore: uscire dal tempo per entrare nell’eternità. Il mondo viene trasceso dall’amore che diventa meditazione spontanea (sahaja samādhi).
Da ultimo vorrei richiamare l’attenzione su un tema che potrebbe interessare a molti ma, poiché la natura della realtà è triadica e quindi vi è implicato anche l’Uomo, a mio parere dovrebbe riguardare ogni essere senziente: Dio è uno o trino o entrambi o nessuno dei due? Il mistero trinitario si potrebbe spiegare alla luce del tantra. Il Padre è il supremo (anuttara), Dio, l’Uno, Śiva, il Brahman, l’Io assoluto (l’Io sono), la pura Coscienza immanifesta, cit o citi. Lo Spirito è la sacra Vibrazione, spanda o kriyā, l’energia onnipervadente, la potenza Śivaica, la Śakti, la Madre Divina, la Dea madre. Il Figlio è l’Essere, la totalità, il Signore, Īśvara, da cui per riflesso hanno origine gli indefiniti enti formali e informali. L’Io sono questo. Gesù, l’incarnazione divina (avatāra cioè disceso), rappresenta la molteplicità, la pluralità, l’uomo-dio nella manifestazione apparente, il nome e la forma. Io sono questo e questi sono gli enti.
Tra il Padre, lo Spirito, il Figlio, Gesù e ogni singolo ente (tutto ciò che esiste nello spazio tempo), vi è una continuità ontologica assoluta e perfetta; anzi si può dire paradossalmente che vi è totale assenza di ontologia se accettiamo che l'infinito nel finito impedisce la realtà dell'essere. Tuttavia la Realtà è trascendente metafisica assoluta (prakāśa) ed è nello stesso tempo il riflesso epistemico di questa, quindi illusorio, ma di cui abbiamo consapevolezza (vimarśa).
La creazione viene emanata per implosione all’interno dell’Uno per eccesso dell’ānanda divino che zampilla, trabocca per esuberanza, tutto è in Dio nulla è al di fuori di Lui. La realtà è il riflesso apparente ideale dell’immagine divina proiettata all'interno della sua Coscienza dinamica. In questo caso il due e il tre sono meno dell’uno, anzi non ci sono nemmeno, essendo la Realtà un idealismo assoluto non-duale e la manifestazione (māyā) è apparenza e riflesso (pratibimba), puro gioco divino (līlā). Questo processo (senza tempo) si svolge nelle fasi di: emanazione creazione, mantenimento conservazione, distruzione riassorbimento, occultamento e grazia. Non posso dire oltre in questa presentazione, ed è meglio così perché tutto ciò viene magistralmente esposto con estrema chiarezza e riferimenti testuali in un capitolo del libro, arricchito da quadri sinottici esplicativi.
La filosofia e la teologia dello Śivaismo del Kaśmīr sono molto facili e dirette, basta entrare un po’ per volta nella dinamica del linguaggio che è sacro tanto quanto la materia trattata. Se si riesce a fare uno spazio nella propria intelligenza e coscienza per accogliere questa nuova e diversa visione della realtà e dell’esistenza il guadagno sarà estremamente più importante dello sforzo fatto.
Il testo di Kamalakar Mishra parla di una verità eterna e smuove i sentimenti più profondi nel cuore dell’uomo che si sente piccolo davanti al Divino e si commuove, ma non ne ha paura perché è consapevole che la sua coscienza individuale si riconosce (pratyabhijñā) nella Coscienza universale e può sperimentare lo stato permanente di gioia, libertà, amore, bontà, calma, pace e non-ego che sono i valori supremi della persona.
Nella traduzione dall’inglese del testo di Kamalakar Mishra, la forma italiana potrà a volte risultare elementare ed ingenua, ma il mio sforzo è stato sempre quello di rispettare la letteralità dell’originale, intervenendo solo nelle rare situazioni in cui ho reputato di poter migliorare o integrare l’intelligibilità della fonte. Qualcuno si chiederà per quale motivo procedere alla traduzione dall’inglese di un libro scritto in questa lingua che ormai conoscono tutti. La risposta è semplice: sono convinto che ogni linguaggio contiene qualcosa che può essere più o meno familiare ed evocativo. L’italiano è una lingua bella e armoniosa, che va direttamente al centro di chi ha questa appartenenza originaria. Negli innumerevoli punti chiave e citazioni, i termini in sanscrito sono ovviamente stati tradotti in inglese dall’autore, ma perché non dare spazio anche ai significati che queste parole sacre assumono nella nostra lingua madre. Per questo ritengo che il mio lavoro non sia stato superfluo o semplicemente tautologico. Il lettore potrà comunicarmi la sua impressione se lo desidera.
Vi è anche la preziosa opportunità di accedere ad una completa elencazione delle scritture di riferimento per questa filosofia, citate nel testo, nelle note e nella esauriente bibliografia. Purtroppo la quasi totalità di queste non è pubblicata in Italia ma grazie alla visibilità su internet delle librerie on-line non sarà difficile reperire quelle su cui sviluppare gli approfondimenti della materia.
Da ultimo sento il dovere di ringraziare le persone che mi hanno aiutato nella revisione del libro, in particolare nel passaggio dalla seconda alla terza edizione, uscita subito dopo la mia prima traduzione. Il testo quindi viene qui edito secondo il più recente aggiornamento e ampliamento operato dallo scrittore. Alla Laksmi Edizioni di Savona va tutta la mia gratitudine per la collaborazione e competenza con cui a tempo di record si è prodigata per far uscire il libro nella sua più gradevole omogeneità e pregevole veste editoriale. Dedico questo lavoro a mio nipote Jacopo che è nell’età giusta per scoprire i sublimi segreti dell’Amore.
cidāṇandarūpaḥ śivo’ ham śivo’ ham
Pūrṇānanda Zanoni
purnananda@virgilio.it
Tornato a casa butto da una parte tutte le cose nuove riportate dal lungo e faticoso viaggio, senza alcuna voglia di metterle subito in ordine e solo dopo un mese riprendo in mano i libri. Apro quello preso “per caso” e leggo qualche frase qua e là. Subito mi sento come scosso dal modo in cui è scritto. È un libro di filosofia indiana di un professore di università in pensione, la B.H.U., (il prof. Kamalakar Mishra, che ringrazio con devozione e affetto per i colloqui che mi ha concesso l’anno scorso), ma, con tutto il rispetto, sembra scritto da un ragazzino di scuola media. Brevi pensieri semplici e quasi ingenui, parole dette, ridette e ripetute senza alcuno scrupolo per le regole del bravo scrittorino che di solito cerca di non ripetersi e sceglie sinonimi, termini alternativi, parafrasi e accorgimenti simili. Non erano solo lo stile e la forma che mi attraevano, ma soprattutto l’argomento. Dopo anni di decorosa convinta militanza tra le fila dei vedāntin iniziati e dopo aver letto e studiato tutto ciò che serviva della cultura religiosa indiana (per dare solo un’idea: Brahma-sūtra, Upaniṣad, varie Gītā, tutti i testi maggiori di Śaṅkara e anche i canti minori ecc.), avevo da poco iniziato lo studio dei testi Tantrici, seguendo i corsi tenuti dal sanscritista francese prof. Angot [michelangot.com]. Ora, improvvisamente e inaspettatamente, questo apparentemente semplice libretto di Kamalakar Mishra, che mi era stato “dato”, stava iniziando a parlare non solo alla mia parte intellettuale ma soprattutto entrava in profondità nel mio cuore.
Questo non è un libro devozionale; non si parla di dèi con il serpente al collo o sotto i piedi, di oscure dee dalle molte braccia in groppa a cavalcature bestiali, di rituali segreti, di formule liturgiche magiche, di asceti santi fachiri, di templi inacessibili, di simboli sacri e misteriosi, racconti mitici, e così via. Mi ero accorto che la modalità espositiva degli insegnamenti filosofici della dottrina, che qui viene spiegata molto chiaramente, il trika di Abhinavagupta, che è il fondamento del Tantrismo, è sostenuta da una continua vibrante tensione per il Divino. Il libro è un’esplosione di prorompente amore per Dio, per la Sua conoscenza e la conoscenza di se stessi.
Ogni volta che avevo sentito parlare del Tantra, constatavo che alla base di tutte le considerazioni che si possono fare attorno a questo a termine, vi è un grave fraintendimento. Quando ho iniziato a maneggiare il libro, avevo appena assistito a due conferenze, una sul tantra dell’amore e l’altra sul tantra-yoga. I due relatori mi sembravano entrambi abbastanza fuori strada e avendoli poi intervistati personalmente avevo avuto la conferma che, sempre con tutto il rispetto, del tantra non ne sapevano proprio niente. E così credo molte persone che associano immediatamente il tantra con il libertinaggio sessuale e le sculture erotiche templari, nulla di più.
Essendomi votato nella mia vita alla causa della Tradizione eterna (il Sanātana-dharma), mi ero dunque riproposto di far luce su un tale malinteso così antipaticamente diffuso. Questo libro è il mezzo con cui chiunque, qualunque sia il suo progetto filosofico di vita, il suo rigore intellettuale, la sua sensibilità religiosa e il suo livello di moralità ed etica, può ampliare e arricchire la sua visione, avendo questo libro la prerogativa di essere un trattato semplice e paradigmatico su tutta la materia. Ma vi è di più. Si è soliti dire che un trattato filosofico può essere informativo o formativo, io ritengo che questo libro sia un testo trasformativo, per la metamorfosi spirituale (metànoia) di ognuno. Vi sono toccati tutti i temi cosiddetti esistenziali, le domande di senso della vita che se ci si dedica a ricercarne le risposte la rendono degna di essere vissuta. Vediamone alcuni.
Sapere chi siamo veramente, o forse sarebbe meglio dire che “non” siamo. Il problema dell’auto-conoscenza al di là dell’impianto epistemologico convenzionale umanistico e scientifico. Qual è la natura della Realtà. I nostri studi ci riportano alla memoria la proposizione di Leibnitz: “Perché vi è, in generale, l’essente e non il nulla”. È la domanda della metafisica fondamentale (alla quale a parer mio manca ancora una risposta convincente da parte della filosofia). Qual è lo scopo della nostra esistenza. Fëdor Dostoevskij dice: “Il segreto dell’esistenza non sta soltanto nel vivere, ma anche nel sapere per che cosa si vive”, gli fa eco la Mère (la compagna spirituale del mistico indiano Sri Aurobindo) quando dice: “Chi vive senza uno scopo vive senza gioia”. Qual è il destino di una persona. In altre parole che cosa succede quando si muore. E ancora molti altri non meno importanti: l’amore, la creazione, il male, il libero arbitrio, il sesso, il peccato, le leggi cosmiche, la pratica spirituale, il risveglio ecc.
Non deve spaventare se il libro si presenta essenzialmente come un testo di filosofia. La filosofia indiana è
diversa da quella occidentale, perché mentre quando si parla di filosofia occidentale si parla di qualcosa di teoretico, speculativo, sistematico, analitico, deduttivo, accademico, a volte astratto (spesso incomprensibile ai più), la filosofia indiana invece è intuitiva, induttiva, sintetica, un tutt’uno con l’esperienza della vita, con la fede religiosa, con l’etica, con la psicologia, con l’attenzione per il sociale, con la pratica spirituale (sādhanā) per la salvezza (la liberazione), che è prima di tutto uno stile di vita e comprende tutto ciò che riguarda la triade fondamentale della realtà: l’Uomo, Dio, il Cosmo.
Questa corrente filosofica, chiamata Śivaismo del Kaśmīr, che viene definita la filosofia centrale del Tantrismo, per molti aspetti rappresenta, a mio avviso, l’apice della millenaria saggezza dell’India. Come sappiamo ci sono due filoni principali della sapienza indiana: la śruti (che significa audizione, rivelazione e conservazione nella memoria) e la śmṛti (legata alla scrittura) che, tralasciando altre importanti scuole come quelle buddhiste, corrono lungo i due versanti dell’unica Tradizione culturale e religiosa. Il primo è quello vedico (l’induismo brahmanico) ovvero dei sei sistemi dottrinali scolastici ortodossi (che sono sei solo convenzionalmente ma in realtà sono di più): sāṃkhya, yoga, vaiśeṣika, nyāya, pūrva mīmāṃsa e vedānta¸ l’altro è quello degli Āgama e dei Tantra (l’induismo tantrico).
La collocazione temporale (molto relativa sotto l’aspetto filologico per l’India che bada più a cosa si dice che a quando lo si è detto e da chi) del tantra non è meno riconducibile agli albori della civiltà del subcontinente di quella vedica e aborigena dravidica, ma la sistematizzazione di questi scritti è avvenuta mille anni fa o poco più. Questo ha permesso allo Śivaismo del Kaśmīr di arrivare per ultimo, dopo che la tradizione di tutte le conoscenze rivelate e tramandate si era sedimentata da secoli grazie agli studi dei ricercatori e nella coscienza della gente. Personalmente, e sottolineo ancora una volta personalmente, considero lo Śivaismo del Kaśmī l’apogeo dell’esperienza filosofica e metafisica di ogni tradizione sapienziale umana, di tutti i tempi e luoghi fino ad oggi conosciuta. Come sappiamo l’indagine metafisica occidentale a partire dalla seconda metà del primo millennio, a causa dell’oscurantismo perpetrato dal cristianesimo, ha abbassato la saracinesca e se l’uomo di oggi desidera esplorare questi territori spesso deve andare in Oriente (la metafisica e la mistica Sufi, induista, buddhista, Taoista, Zen ecc.).
Ma il tantra è attuale anche per altre ragioni. Assistiamo da qualche decennio ad una propagazione delle teorie della cosiddetta New Age, che fanno tanta presa sugli animi assetati di verità, sensibili ai segreti dell’esistenza del mondo visibile e invisibile, formale e informale, manifesto e immanifesto. Ebbene, lo Śivaismo del Kaśmīr pensa che l’uomo funzioni come l’universo e che la coscienza sia creativa (Dio crea l’universo e io posso modificarlo), proprio come una new age ante litteram per il suo indulgere ai concetti di ritmo, energia, potenza, forza, vibrazione, frequenza, suono, poteri, onde, corpi sottili e simili. Anche la fisica quantistica ne è la conferma con le sue teorie apparentemente antinomiche come l’universo olografico [Tutto è Uno di Michael Talbot] e il multiverso o la gemmazione degli universi, il campo unificato e il continuum discreto (la costante di Planck), le superstringhe e la stringa unica, il bosone di Higgs e l’entanglement, la schiuma quantica stocastica (il principio di indeterminazione) e le undici dimensioni, e chissà quant’altro. Tutte ipotesi già previste dai veggenti migliaia di anni fa [Il Tao della fisica di Fritjof Capra].
Solo per fare un esempio, anche un racconto mitico del Vangelo potrebbe essere commentato esaurientemente con le categorie tantriche. La trasfigurazione. Gesù prende con sé tre apostoli (rappresentano l’uomo ignorante) e sale su un monte; segue una veglia di preghiera (meditazione profonda, un samāveśa) e Gesù appare ai discepoli in compagnia dei profeti Mosè ed Elia. Dopo un po’ i volti e le vesti di questi diventano bianchi, sfolgoranti. Pietro, Giacomo e Giovanni sono sconcertati, vorrebbero stare lì in eterna contemplazione, ma poi ritornano alla loro realtà (la realtà ordinaria, relativa, di superficie, mortale) di dormienti. Che cosa vuole rivelare l’evangelista? Gesù ci mostra la sua vera natura e poiché il Padre conferma questa natura divina suggellata dalla relazione padre-figlio, qual è dunque questa natura divina? È la luce: Dio è luce e il Figlio è luce. Ora, dal momento che il Figlio, grazie all’incarnazione, è l’archetipo principiale di tutti gli uomini, ne consegue che la natura dell’uomo è la luce, cioè una vibrazione che non è materiale ma ideale della sostanza del pensiero (divino). La parola Dio viene dal sanscrito dyaus (dyauttra = luce), che poi diventa anche Théos, Deus e per noi Dio. Dyaus vuol dire luce. Dio è Luce, noi siamo Luce.
Prendiamo un altro tema cruciale per dare dei punti di riferimento nella nostra vita come genere umano. La creazione. È ovvio che nulla può essere creato ex-nihilo. Il mondo è eterno, è un’emanazione continua. Per il tantra la creazione è un immenso infinito “atto d’amore”, un accoppiamento cosmico che, su scala umana, viene esaltato, sacralizzato, ritualizzato e preso a simbolo della Realtà, la cui natura è: “cit”, la Coscienza, il soggetto (come pure l’oggetto) è sia Śiva che Śakti, il Dio e la Dea, che nell’amplesso sono uniti nell’Uno che è consapevolezza assoluta; “ābhāsa”, in quanto nell’apparenza questi “sembrano” essere due; “icchā”, la volontà, il desiderio di compiere l’atto; “jñāna”, la conoscenza immaginativa, nell’atto c’è la profonda convinzione di realizzare ciò che si vuole essere e fare veramente; anche a livello di “vimarśa”, l’ideazione dei movimenti; “kriyā”, il dinamismo, l’atto d’amore non è passività ma azione spontanea; “spanda”, vibrazione, i corpi fremono nella sacralità dell’atto; “svātantrya”, libertà, in quel momento gli amanti sono assolutamente liberi da tutto e da tutti e possono fare tutto ciò che vogliono; “vāc” parola e “śabdha” suono, quante parole e gemiti si dicono e si sentono nell’atto d’amore; “līlā”, il gioco, tutti i giochi d’amore che si fanno, e il fare l’amore non è forse un gioco; “yoga”, unione, l’unità con l’amato, con il tutto e con il Divino, la soppressione/sospensione delle modificazioni della mente (lo yoga è lo stato intransitivo del mentale), nell’amplesso la mente viene annullata, semplicemente si è ciò che si è, l’ego sparisce emerge solo il Sé che culmina nell’attimo eterno dell’“ānanda”, la beatitudine, gioia sublime, appagamento totale: l’io (l'ego) non c’è più, ma solo l’amore: uscire dal tempo per entrare nell’eternità. Il mondo viene trasceso dall’amore che diventa meditazione spontanea (sahaja samādhi).
Da ultimo vorrei richiamare l’attenzione su un tema che potrebbe interessare a molti ma, poiché la natura della realtà è triadica e quindi vi è implicato anche l’Uomo, a mio parere dovrebbe riguardare ogni essere senziente: Dio è uno o trino o entrambi o nessuno dei due? Il mistero trinitario si potrebbe spiegare alla luce del tantra. Il Padre è il supremo (anuttara), Dio, l’Uno, Śiva, il Brahman, l’Io assoluto (l’Io sono), la pura Coscienza immanifesta, cit o citi. Lo Spirito è la sacra Vibrazione, spanda o kriyā, l’energia onnipervadente, la potenza Śivaica, la Śakti, la Madre Divina, la Dea madre. Il Figlio è l’Essere, la totalità, il Signore, Īśvara, da cui per riflesso hanno origine gli indefiniti enti formali e informali. L’Io sono questo. Gesù, l’incarnazione divina (avatāra cioè disceso), rappresenta la molteplicità, la pluralità, l’uomo-dio nella manifestazione apparente, il nome e la forma. Io sono questo e questi sono gli enti.
Tra il Padre, lo Spirito, il Figlio, Gesù e ogni singolo ente (tutto ciò che esiste nello spazio tempo), vi è una continuità ontologica assoluta e perfetta; anzi si può dire paradossalmente che vi è totale assenza di ontologia se accettiamo che l'infinito nel finito impedisce la realtà dell'essere. Tuttavia la Realtà è trascendente metafisica assoluta (prakāśa) ed è nello stesso tempo il riflesso epistemico di questa, quindi illusorio, ma di cui abbiamo consapevolezza (vimarśa).
La creazione viene emanata per implosione all’interno dell’Uno per eccesso dell’ānanda divino che zampilla, trabocca per esuberanza, tutto è in Dio nulla è al di fuori di Lui. La realtà è il riflesso apparente ideale dell’immagine divina proiettata all'interno della sua Coscienza dinamica. In questo caso il due e il tre sono meno dell’uno, anzi non ci sono nemmeno, essendo la Realtà un idealismo assoluto non-duale e la manifestazione (māyā) è apparenza e riflesso (pratibimba), puro gioco divino (līlā). Questo processo (senza tempo) si svolge nelle fasi di: emanazione creazione, mantenimento conservazione, distruzione riassorbimento, occultamento e grazia. Non posso dire oltre in questa presentazione, ed è meglio così perché tutto ciò viene magistralmente esposto con estrema chiarezza e riferimenti testuali in un capitolo del libro, arricchito da quadri sinottici esplicativi.
La filosofia e la teologia dello Śivaismo del Kaśmīr sono molto facili e dirette, basta entrare un po’ per volta nella dinamica del linguaggio che è sacro tanto quanto la materia trattata. Se si riesce a fare uno spazio nella propria intelligenza e coscienza per accogliere questa nuova e diversa visione della realtà e dell’esistenza il guadagno sarà estremamente più importante dello sforzo fatto.
Il testo di Kamalakar Mishra parla di una verità eterna e smuove i sentimenti più profondi nel cuore dell’uomo che si sente piccolo davanti al Divino e si commuove, ma non ne ha paura perché è consapevole che la sua coscienza individuale si riconosce (pratyabhijñā) nella Coscienza universale e può sperimentare lo stato permanente di gioia, libertà, amore, bontà, calma, pace e non-ego che sono i valori supremi della persona.
Nella traduzione dall’inglese del testo di Kamalakar Mishra, la forma italiana potrà a volte risultare elementare ed ingenua, ma il mio sforzo è stato sempre quello di rispettare la letteralità dell’originale, intervenendo solo nelle rare situazioni in cui ho reputato di poter migliorare o integrare l’intelligibilità della fonte. Qualcuno si chiederà per quale motivo procedere alla traduzione dall’inglese di un libro scritto in questa lingua che ormai conoscono tutti. La risposta è semplice: sono convinto che ogni linguaggio contiene qualcosa che può essere più o meno familiare ed evocativo. L’italiano è una lingua bella e armoniosa, che va direttamente al centro di chi ha questa appartenenza originaria. Negli innumerevoli punti chiave e citazioni, i termini in sanscrito sono ovviamente stati tradotti in inglese dall’autore, ma perché non dare spazio anche ai significati che queste parole sacre assumono nella nostra lingua madre. Per questo ritengo che il mio lavoro non sia stato superfluo o semplicemente tautologico. Il lettore potrà comunicarmi la sua impressione se lo desidera.
Vi è anche la preziosa opportunità di accedere ad una completa elencazione delle scritture di riferimento per questa filosofia, citate nel testo, nelle note e nella esauriente bibliografia. Purtroppo la quasi totalità di queste non è pubblicata in Italia ma grazie alla visibilità su internet delle librerie on-line non sarà difficile reperire quelle su cui sviluppare gli approfondimenti della materia.
Da ultimo sento il dovere di ringraziare le persone che mi hanno aiutato nella revisione del libro, in particolare nel passaggio dalla seconda alla terza edizione, uscita subito dopo la mia prima traduzione. Il testo quindi viene qui edito secondo il più recente aggiornamento e ampliamento operato dallo scrittore. Alla Laksmi Edizioni di Savona va tutta la mia gratitudine per la collaborazione e competenza con cui a tempo di record si è prodigata per far uscire il libro nella sua più gradevole omogeneità e pregevole veste editoriale. Dedico questo lavoro a mio nipote Jacopo che è nell’età giusta per scoprire i sublimi segreti dell’Amore.
cidāṇandarūpaḥ śivo’ ham śivo’ ham
Pūrṇānanda Zanoni
purnananda@virgilio.it