KARMAN e LIBERAZIONE nella concezione artistica Jaina
di Carlo Maraja

Il libro è interessante, originale, bellissimo, magistralmente curato ed edito da Giuliana Tebaldi a dieci anni dal mahasamadhi di Carlo Maraja. Assolutamente da leggere e meditare, vi raccomando di prendere questo libro; anche se non lo leggerete subito lasciatelo lì, prima o poi salterà fuori dallo scaffale e vi verrà in mano. Allora essendo in tiratura limitata sarete contenti di averlo comperato, perché questo libro emana una particolare vibrazione, un’energia. E' stato scritto con amore, viene dal cuore e viene da lontano: la stesura risale ai primi anni ‘80 ed è la riproduzione della tesi di laurea che Carlo ha dato quando si è laureato in Lingue e Letteratura Orientali, nella fattispecie l’Hindi, nel 1985.
Il saggio
E' frutto degli studi e dei numerosi viaggi nei siti dove si trovano i gioielli dell’arte Jaina, e illustra accuratamente i più importanti aspetti della civiltà Jaina, attraverso la descrizione di molte opere d’arte di vario genere: complessi templari, statue, dipinti, scritture ecc.
Il testo è supportato da molte fotografie (bellissime), disegni, diagrammi, citazioni, note a piè di pagina e riferimenti bibliografici. Di tutto ciò vengono offerti preziosi dettagli, che aiutano il lettore ad orientarsi per seguire le descrizioni testuali e capire meglio quello che già è ben spiegato a parole e con dovizia di particolari, in modo estremamente preciso, chiaro e intelligibile.
La forma semplice, discorsiva, mai leziosa e di massima fluidità con cui gli argomenti sono affrontati, rende il libro leggibile con sorprendente facilità. È così avvincente fin dalle prime battute, che il lettore viene rapito e trasportato in lontane terre esotiche, mondi di miti e simboli segreti; l’antica India magica e misteriosa, dove luoghi figure riti luci colori suoni profumi atmosfere inebriano e stordiscono, scatenando e appagando la fantasia anche dei più refrattari.
Questa apparente scorrevolezza tuttavia non è mai in contrasto con il rigore dell’approccio all’universo artistico Jainista, né con l’accuratezza dell’esposizione dei concetti e con gli approfondimenti teoretici riguardo alla parte filosofica e metafisica.
Il libro è una felice sintesi di varie trattazioni nel campo dell’arte, dell’antropologia, della storia, della geo-etico-politica, della letteratura, della religione, della filosofia, della sociologia, della psicologia, secondo la visione teo-antropo-cosmogonica della cultura Jaina, supportata da una appropriata sensibilità semantica, filologica, esegetica ed ermeneutica.
Alla luce dei principi del Jainismo, che aveva assunto quasi come propri, Carlo era ben conscio che nulla di quanto raffigurato poteva essere correttamente interpretato e profondamente compreso se non si fossero conosciuti in ogni particolare i molteplici significati filosofici e religiosi del tempo, quelli apparenti e quelli più intimi, quelli delle immagini e delle strutture di cui si servivano gli antichi per celebrare ed onorare i loro idoli.
Ogni opera d’arte è una affascinante narrazione, accuratamente descritta da Carlo, che mostra la magnificenza e la purezza degli elementi e degli stili impiegati nella rappresentazione dei principi, dei miti, dei simboli, degli archetipi di cui gli artisti si servivano per esprimere ciò che è inesprimibile, informale e per certi aspetti immanifesto.
Sappiamo dagli insegnamenti della Tradizione eterna Indiana (il Sanåtana dharma) che Dio emana Sé stesso e si manifesta secondo il valore estetico; il mondo è pensato e creato per essere goduto attraverso l’immedesimazione estetica. Anche san Tommaso d’Aquino affermava che Dio è l’artista degli artisti, dicendo: “Dio è un artista e il mondo è il capolavoro di Dio”. Chi non condivide con Dio questa immedesimazione estetica paradigmatica non partecipa alla realtà di Dio.
La realtà della våc, dello shabdha, dell’åbhåsa, del pratibimba è l’immagine riflessa della bellezza e dell’amore, è l’estetica, è estatica, è estasi mistica, ex-stasi sta fuori, sta nell’oltre.
L’arte e la religione
Rispetto alle credenze classiche come il Såmkhya, lo Yoga, il Brahmanesimo, il Buddhismo, la religione Jaina si può definire ontologicamente alquanto differente e sui generis, ma nel medesimo tempo ha molto in comune con questi sistemi dal punto di vista assiologico. Nel libro è ben sottolineata questa comunanza per quel che concerne i valori morali, soprattutto quando viene enfatizzato il concetto di Legge Cosmica universale del Karma, che è comune a tutti i darshan, i punti di vista filosofici cioè le dottrine ortodosse dell’India.
Varrebbe la pena esporre gli aspetti fondamentali della religione e della cultura Jaina messi in ampia evidenza da Carlo, tenendo conto che la religione Jaina, presumibilmente di origine Dravidica, era praticata dagli aborigeni prima dell’invasione degli Arii e preesisteva ancor prima della chiesa Buddhista, ma vorrei lasciare questo piacere personale all’esperienza diretta del lettore.
Per darne solo un’idea possiamo qui citare brevemente alcune differenze con le altre culture, ad esempio quella Brahmanica, per i seguenti aspetti:
- la non-violenza, con la proibizione di uccidere essere viventi;
- la liberazione;
- i gradi di virtù, che sono passaggi per accedere allo stato finale di Ayogi Kevalin e poi di Shailesi. L’anima dei jiva predestinati per natura, pronunciate le cinque sacre sillabe, verrà liberata per sempre dalla schiavitù dell’esistenza e dimorerà in eterno nel paradiso del Siddha-Shila;
- le otto qualità sovrannaturali che aiutano il Jina (il vittorioso) a liberarsi dal karma mondano;
- gli aspetti psicologici dell’auto-conoscenza. Cito dal testo: “La liberazione può avvenire solo seguendo i dettami della dottrina ovvero il comportamento fisico e l’educazione dell’intelletto. Questo secondo è più interessante perché determina l’esito del primo, in quanto l’azione e il comportamento fisico sono il risultato del pensiero; è cioè l’effetto della causa nata dall’intelletto, il quale condiziona sempre l’agire dell’essere”.
È lecito chiedersi: perché il karma ha tutta questa importanza? Perché il trascendente (che è tale in quanto non è più soggetto alla Legge del Karma) non può mai essere ritratto con immagini visibili e tangibili, in quanto niente di visibile e di tangibile può rappresentarlo, né un’immagine umana né un’immagine divina.
Se così fosse sarebbe dotato di quelle caratteristiche che appartengono agli esseri modellati dalle influenze delle vite precedenti e quindi gravati dai samskåra e dalle våsanå, esseri cui la Legge del Karma ha conferito forme umane o celesti. Qualsiasi figura comunicherebbe un’idea sbagliata della sua essenza, che non è descrivibile. Qualsiasi immagine lo mostrerebbe legato dai sottili vincoli del karma alla dimensione delle realtà limitanti e transitorie, mentre il senso della sua esperienza è che egli si è liberato dai sintomi dell’ignoranza, del desiderio e dell’ego.
Nel Buddhismo ad esempio, la dottrina è chiamata yåna cioè zattera traghetto. Il traghetto spiega il senso e la funzione della dottrina. È il mezzo per far attraversare le persone, come nella vita comune i traghetti servono per attraversare i grandi fiumi indiani, mancando praticamente i ponti in India.
Nella tradizione Jaina, la via della salvezza è chiamata Tirtha (il guado), e i supremi maestri erano i Tirthankara: “coloro che preparano [i jiva] ad attraversare il guado” cioè ad attraversare il tumultuoso fiume del samsåra e raggiungere la lontana riva della liberazione il moksha. L’individuo viene trasportato dall’illuminazione dell’essere divino. Si raccomanda l'attenta lettura della parte finale del libro, una vera apoteosi.
Come apprezzare il lavoro di raffigurazione degli artisti Jaina che hanno rappresentato il non visibile? Solo immaginandoci che cosa poteva essere considerato il Tithankara nella sua funzione.
Il Tirthankara
Facciamo una visualizzazione servendoci di una metafora classica; chiudiamo gli occhi per un momento.
Immaginiamo una terra attraversata da un fiume, il fiume della vita, il fiume del samsåra. Su una sponda sorge una città, da questa sponda non si vede bene cosa c’è sull’altra riva.
La gente della città si affanna, lavora, si diverte, soffre, gioisce, nasce, cresce, declina, invecchia, si ammala, lascia il corpo e rinasce, sperimentando continuamente il divenire trasmigratorio ininterrotto di nascite e morti, la lilå ciclica del gioco della dualità di måyå.
Alcuni, i ricercatori, intuiscono che deve esserci qualcosa di più di tutto questo. Immaginano che se potessero attraversare il fiume là troverebbero tutte le risposte sul senso o il non senso della vita. Vogliono sapere la verità, vogliono capire perché l’esistenza è così.
Si mettono sulla riva, vorrebbero attraversare ma non ci sono passaggi, la corrente è impetuosa, gli approdi sono incerti. A causa della loro nescienza non sanno da che parte dirigersi. Ad un certo punto vedono in lontananza arrivare un battello, si avvicina, attracca alla sponda dove ci sono questi esploratori dell’ignoto. Capiscono che questa è la loro occasione, che hanno la grazia di salire sul traghetto. Li accoglie il Tirthankara accompagnato dalla fedele coppia di Yaksha e Yakshini sui loro veicoli. Alcuni devoti hanno portato con loro i testi delle scritture, le immagini sacre, fanno meditazione, pregano, celebrano i loro riti ecc.
Il traghetto parte, e inizia la sua attraversata staccandosi dalla riva che gradualmente appare sempre più inconsistente, evanescente come se fosse un’illusione ottica. La sponda opposta si intravede in lontananza ma sembra indistinguibile anch’essa velata dalle nebbie di superficie. A poco a poco le persone sulla zattera diventano consapevoli di aver superato il punto di non ritorno e che l’attraversata in realtà non porta da nessuna parte: è solo un passaggio, il passaggio ad uno stato di coscienza interiore diverso.
Cominciano a sparire i libri, le immagini, si affievolisce il salmodiare degli oranti, cessano le pratiche; si dissolve la riva da cui si è partiti; l’altra non si intravede più; sparisce l’acqua del fiume, si ha piuttosto la sensazione di essere entrati in un oceano sconfinato, il tempo si è fermato in un eterno presente.
Poi anche il Tirthankara, che fino a quel momento ha impartito i suoi insegnamenti per liberare i devoti dalla schiavitù dell’ignoranza, se ne va con la zattera e i suoi accoliti. Arrivato ai confini dell’universo, torna indietro per andare a salvare gli altri finché tutti non saranno stati liberati.
Infine spariscono anche le anime incarnate, non prima di aver finalmente realizzato il senso ultimo dell’esistenza. Non c’è nessuna sponda da cui partire e a cui arrivare, nessun fiume da attraversare, nessuna zattera, nessun traghettatore, sono solo forme in dissolvimento. Il Tirthankara è inafferrabile al di là della sponda invisibile, che non si può raggiungere perché anche l’attraversamento è un’illusione, l’esistenza non è né terrena né trascendente: è pura apparenza. Non c’è più un’individualità, un ego, non c’è un samsåra, né un moksha, non c’è nessun nirvåna. Tutto il karma si è dissolto, l’Ayogi Kevalin è diventato il Perfetto Siddha, si è risolto nell’etereo Siddha-Shila.
Il saggio
E' frutto degli studi e dei numerosi viaggi nei siti dove si trovano i gioielli dell’arte Jaina, e illustra accuratamente i più importanti aspetti della civiltà Jaina, attraverso la descrizione di molte opere d’arte di vario genere: complessi templari, statue, dipinti, scritture ecc.
Il testo è supportato da molte fotografie (bellissime), disegni, diagrammi, citazioni, note a piè di pagina e riferimenti bibliografici. Di tutto ciò vengono offerti preziosi dettagli, che aiutano il lettore ad orientarsi per seguire le descrizioni testuali e capire meglio quello che già è ben spiegato a parole e con dovizia di particolari, in modo estremamente preciso, chiaro e intelligibile.
La forma semplice, discorsiva, mai leziosa e di massima fluidità con cui gli argomenti sono affrontati, rende il libro leggibile con sorprendente facilità. È così avvincente fin dalle prime battute, che il lettore viene rapito e trasportato in lontane terre esotiche, mondi di miti e simboli segreti; l’antica India magica e misteriosa, dove luoghi figure riti luci colori suoni profumi atmosfere inebriano e stordiscono, scatenando e appagando la fantasia anche dei più refrattari.
Questa apparente scorrevolezza tuttavia non è mai in contrasto con il rigore dell’approccio all’universo artistico Jainista, né con l’accuratezza dell’esposizione dei concetti e con gli approfondimenti teoretici riguardo alla parte filosofica e metafisica.
Il libro è una felice sintesi di varie trattazioni nel campo dell’arte, dell’antropologia, della storia, della geo-etico-politica, della letteratura, della religione, della filosofia, della sociologia, della psicologia, secondo la visione teo-antropo-cosmogonica della cultura Jaina, supportata da una appropriata sensibilità semantica, filologica, esegetica ed ermeneutica.
Alla luce dei principi del Jainismo, che aveva assunto quasi come propri, Carlo era ben conscio che nulla di quanto raffigurato poteva essere correttamente interpretato e profondamente compreso se non si fossero conosciuti in ogni particolare i molteplici significati filosofici e religiosi del tempo, quelli apparenti e quelli più intimi, quelli delle immagini e delle strutture di cui si servivano gli antichi per celebrare ed onorare i loro idoli.
Ogni opera d’arte è una affascinante narrazione, accuratamente descritta da Carlo, che mostra la magnificenza e la purezza degli elementi e degli stili impiegati nella rappresentazione dei principi, dei miti, dei simboli, degli archetipi di cui gli artisti si servivano per esprimere ciò che è inesprimibile, informale e per certi aspetti immanifesto.
Sappiamo dagli insegnamenti della Tradizione eterna Indiana (il Sanåtana dharma) che Dio emana Sé stesso e si manifesta secondo il valore estetico; il mondo è pensato e creato per essere goduto attraverso l’immedesimazione estetica. Anche san Tommaso d’Aquino affermava che Dio è l’artista degli artisti, dicendo: “Dio è un artista e il mondo è il capolavoro di Dio”. Chi non condivide con Dio questa immedesimazione estetica paradigmatica non partecipa alla realtà di Dio.
La realtà della våc, dello shabdha, dell’åbhåsa, del pratibimba è l’immagine riflessa della bellezza e dell’amore, è l’estetica, è estatica, è estasi mistica, ex-stasi sta fuori, sta nell’oltre.
L’arte e la religione
Rispetto alle credenze classiche come il Såmkhya, lo Yoga, il Brahmanesimo, il Buddhismo, la religione Jaina si può definire ontologicamente alquanto differente e sui generis, ma nel medesimo tempo ha molto in comune con questi sistemi dal punto di vista assiologico. Nel libro è ben sottolineata questa comunanza per quel che concerne i valori morali, soprattutto quando viene enfatizzato il concetto di Legge Cosmica universale del Karma, che è comune a tutti i darshan, i punti di vista filosofici cioè le dottrine ortodosse dell’India.
Varrebbe la pena esporre gli aspetti fondamentali della religione e della cultura Jaina messi in ampia evidenza da Carlo, tenendo conto che la religione Jaina, presumibilmente di origine Dravidica, era praticata dagli aborigeni prima dell’invasione degli Arii e preesisteva ancor prima della chiesa Buddhista, ma vorrei lasciare questo piacere personale all’esperienza diretta del lettore.
Per darne solo un’idea possiamo qui citare brevemente alcune differenze con le altre culture, ad esempio quella Brahmanica, per i seguenti aspetti:
- la non-violenza, con la proibizione di uccidere essere viventi;
- la liberazione;
- i gradi di virtù, che sono passaggi per accedere allo stato finale di Ayogi Kevalin e poi di Shailesi. L’anima dei jiva predestinati per natura, pronunciate le cinque sacre sillabe, verrà liberata per sempre dalla schiavitù dell’esistenza e dimorerà in eterno nel paradiso del Siddha-Shila;
- le otto qualità sovrannaturali che aiutano il Jina (il vittorioso) a liberarsi dal karma mondano;
- gli aspetti psicologici dell’auto-conoscenza. Cito dal testo: “La liberazione può avvenire solo seguendo i dettami della dottrina ovvero il comportamento fisico e l’educazione dell’intelletto. Questo secondo è più interessante perché determina l’esito del primo, in quanto l’azione e il comportamento fisico sono il risultato del pensiero; è cioè l’effetto della causa nata dall’intelletto, il quale condiziona sempre l’agire dell’essere”.
È lecito chiedersi: perché il karma ha tutta questa importanza? Perché il trascendente (che è tale in quanto non è più soggetto alla Legge del Karma) non può mai essere ritratto con immagini visibili e tangibili, in quanto niente di visibile e di tangibile può rappresentarlo, né un’immagine umana né un’immagine divina.
Se così fosse sarebbe dotato di quelle caratteristiche che appartengono agli esseri modellati dalle influenze delle vite precedenti e quindi gravati dai samskåra e dalle våsanå, esseri cui la Legge del Karma ha conferito forme umane o celesti. Qualsiasi figura comunicherebbe un’idea sbagliata della sua essenza, che non è descrivibile. Qualsiasi immagine lo mostrerebbe legato dai sottili vincoli del karma alla dimensione delle realtà limitanti e transitorie, mentre il senso della sua esperienza è che egli si è liberato dai sintomi dell’ignoranza, del desiderio e dell’ego.
Nel Buddhismo ad esempio, la dottrina è chiamata yåna cioè zattera traghetto. Il traghetto spiega il senso e la funzione della dottrina. È il mezzo per far attraversare le persone, come nella vita comune i traghetti servono per attraversare i grandi fiumi indiani, mancando praticamente i ponti in India.
Nella tradizione Jaina, la via della salvezza è chiamata Tirtha (il guado), e i supremi maestri erano i Tirthankara: “coloro che preparano [i jiva] ad attraversare il guado” cioè ad attraversare il tumultuoso fiume del samsåra e raggiungere la lontana riva della liberazione il moksha. L’individuo viene trasportato dall’illuminazione dell’essere divino. Si raccomanda l'attenta lettura della parte finale del libro, una vera apoteosi.
Come apprezzare il lavoro di raffigurazione degli artisti Jaina che hanno rappresentato il non visibile? Solo immaginandoci che cosa poteva essere considerato il Tithankara nella sua funzione.
Il Tirthankara
Facciamo una visualizzazione servendoci di una metafora classica; chiudiamo gli occhi per un momento.
Immaginiamo una terra attraversata da un fiume, il fiume della vita, il fiume del samsåra. Su una sponda sorge una città, da questa sponda non si vede bene cosa c’è sull’altra riva.
La gente della città si affanna, lavora, si diverte, soffre, gioisce, nasce, cresce, declina, invecchia, si ammala, lascia il corpo e rinasce, sperimentando continuamente il divenire trasmigratorio ininterrotto di nascite e morti, la lilå ciclica del gioco della dualità di måyå.
Alcuni, i ricercatori, intuiscono che deve esserci qualcosa di più di tutto questo. Immaginano che se potessero attraversare il fiume là troverebbero tutte le risposte sul senso o il non senso della vita. Vogliono sapere la verità, vogliono capire perché l’esistenza è così.
Si mettono sulla riva, vorrebbero attraversare ma non ci sono passaggi, la corrente è impetuosa, gli approdi sono incerti. A causa della loro nescienza non sanno da che parte dirigersi. Ad un certo punto vedono in lontananza arrivare un battello, si avvicina, attracca alla sponda dove ci sono questi esploratori dell’ignoto. Capiscono che questa è la loro occasione, che hanno la grazia di salire sul traghetto. Li accoglie il Tirthankara accompagnato dalla fedele coppia di Yaksha e Yakshini sui loro veicoli. Alcuni devoti hanno portato con loro i testi delle scritture, le immagini sacre, fanno meditazione, pregano, celebrano i loro riti ecc.
Il traghetto parte, e inizia la sua attraversata staccandosi dalla riva che gradualmente appare sempre più inconsistente, evanescente come se fosse un’illusione ottica. La sponda opposta si intravede in lontananza ma sembra indistinguibile anch’essa velata dalle nebbie di superficie. A poco a poco le persone sulla zattera diventano consapevoli di aver superato il punto di non ritorno e che l’attraversata in realtà non porta da nessuna parte: è solo un passaggio, il passaggio ad uno stato di coscienza interiore diverso.
Cominciano a sparire i libri, le immagini, si affievolisce il salmodiare degli oranti, cessano le pratiche; si dissolve la riva da cui si è partiti; l’altra non si intravede più; sparisce l’acqua del fiume, si ha piuttosto la sensazione di essere entrati in un oceano sconfinato, il tempo si è fermato in un eterno presente.
Poi anche il Tirthankara, che fino a quel momento ha impartito i suoi insegnamenti per liberare i devoti dalla schiavitù dell’ignoranza, se ne va con la zattera e i suoi accoliti. Arrivato ai confini dell’universo, torna indietro per andare a salvare gli altri finché tutti non saranno stati liberati.
Infine spariscono anche le anime incarnate, non prima di aver finalmente realizzato il senso ultimo dell’esistenza. Non c’è nessuna sponda da cui partire e a cui arrivare, nessun fiume da attraversare, nessuna zattera, nessun traghettatore, sono solo forme in dissolvimento. Il Tirthankara è inafferrabile al di là della sponda invisibile, che non si può raggiungere perché anche l’attraversamento è un’illusione, l’esistenza non è né terrena né trascendente: è pura apparenza. Non c’è più un’individualità, un ego, non c’è un samsåra, né un moksha, non c’è nessun nirvåna. Tutto il karma si è dissolto, l’Ayogi Kevalin è diventato il Perfetto Siddha, si è risolto nell’etereo Siddha-Shila.
L'autore CARLO MARAJA

Carlo è un visionario
non uno che ha le allucinazioni
è uno che ha le visioni
è uno che ha la visione
è uno che vede
è un veggente, come gli antichi Rishi
il veggente è uno che conosce la Realtà
Carlo si è identificato con la Realtà
i Rishi non pensavano le Scritture Sacre
le ricevevano direttamente dalla pura Coscienza
Yasjnavalkya Vyasa Badarayana Dattatreya Patanjali Nagarjuna Gaudapada Vasugupta Shankara Abhinavagupta
l’umanità deve a questi Maestri il dono della Conoscenza suprema
Carlo, come loro, non ha pensato il libro
l’ha ricevuto e così lo ha scritto in quanto ne ha fatto l’esperienza diretta
è penetrato nelle cose ed è andato oltre
le ha trascese per consegnarle alla dimensione senza tempo dell’essere
Carlo non è uno che sa, è uno che ha la conoscenza
non è uno che capisce, è uno che comprende
non è un italiano, è un Indiano che è nato in Italia
il nome è il destino
il suo nome è regale
se rimettiamo al loro posto le due lettere che l’Occidente gli ha tolto
l’anuttara (a) e l'hakara (h)
il primo e l’ultimo dei fonemi della matrikå che include tutta la realtà
il suo nome contratto in Maraja ritorna nella sua pienezza ad essere quello che è sempre stato in origine: Maharåja (Grande Re)
è venuto qui per farci capire quello che forse neanche gli Indiani avrebbero potuto spiegarci
nella cultura Jaina chi è il Tirthankara?
è colui che ci fa attraversare il guado
ci porta sull’altra sponda della pura Coscienza immanifesta
dal relativo all’assoluto
dal non essere all’essere
dall’illusione alla Realtà
oggi, qui, è Carlo il nostro Tirthankara
è lui con la zattera delle sue parole e del suo libro che ci traghetta verso la Sorgente
quella del risveglio
dell’illuminazione
della realizzazione
della liberazione
dell’assoluto
dell’infinito
dell’eterno
Jay Carlo Jay
non uno che ha le allucinazioni
è uno che ha le visioni
è uno che ha la visione
è uno che vede
è un veggente, come gli antichi Rishi
il veggente è uno che conosce la Realtà
Carlo si è identificato con la Realtà
i Rishi non pensavano le Scritture Sacre
le ricevevano direttamente dalla pura Coscienza
Yasjnavalkya Vyasa Badarayana Dattatreya Patanjali Nagarjuna Gaudapada Vasugupta Shankara Abhinavagupta
l’umanità deve a questi Maestri il dono della Conoscenza suprema
Carlo, come loro, non ha pensato il libro
l’ha ricevuto e così lo ha scritto in quanto ne ha fatto l’esperienza diretta
è penetrato nelle cose ed è andato oltre
le ha trascese per consegnarle alla dimensione senza tempo dell’essere
Carlo non è uno che sa, è uno che ha la conoscenza
non è uno che capisce, è uno che comprende
non è un italiano, è un Indiano che è nato in Italia
il nome è il destino
il suo nome è regale
se rimettiamo al loro posto le due lettere che l’Occidente gli ha tolto
l’anuttara (a) e l'hakara (h)
il primo e l’ultimo dei fonemi della matrikå che include tutta la realtà
il suo nome contratto in Maraja ritorna nella sua pienezza ad essere quello che è sempre stato in origine: Maharåja (Grande Re)
è venuto qui per farci capire quello che forse neanche gli Indiani avrebbero potuto spiegarci
nella cultura Jaina chi è il Tirthankara?
è colui che ci fa attraversare il guado
ci porta sull’altra sponda della pura Coscienza immanifesta
dal relativo all’assoluto
dal non essere all’essere
dall’illusione alla Realtà
oggi, qui, è Carlo il nostro Tirthankara
è lui con la zattera delle sue parole e del suo libro che ci traghetta verso la Sorgente
quella del risveglio
dell’illuminazione
della realizzazione
della liberazione
dell’assoluto
dell’infinito
dell’eterno
Jay Carlo Jay