Curriculum di Purnananda Zanoni

Nato a Verona nel 1948, laureato
Il nome Pūrṇānanda (beatitudine nella pienezza) è dovuto all’iniziazione da parte di un ordine monastico della Tradizione indiana.
- specializzato in Psicologia della morte presso Università di Napoli (corso post-universitario)
- abilitato all’assistenza dei malati mentali (Scuola Permanente di Volontariato)
- studioso delle tradizioni filosofiche e teologiche nelle diverse culture occidentali e orientali, approfondite in vari anni di studio e partecipazione a corsi, tra cui: l’Accademia Vedāntica e l’Istituto Superiore di Scienze Teologiche
- frequenza ai corsi di Sanscrito presso l’Università Cà Foscari di Venezia
- traduttore e curatore del testo indiano: Tantra – Lo Śivaismo del Kaśmīr, pubblicato da Laksmi Ed. Savona, 2012
- insegnante di Sanscrito (base) e filosofie indiane nei corsi di formazione per insegnanti di Yoga in Svizzera e Italia
- da anni relatore in conferenze e centri di spiritualità in Italia e Svizzera
- esperienze acquisite in numerosi viaggi in India, Nepal, Tibet
Il nome Pūrṇānanda (beatitudine nella pienezza) è dovuto all’iniziazione da parte di un ordine monastico della Tradizione indiana.
Intervista per il periodico bimestrale
IL BACO DA SETA di Sona (Verona) n. 72 - Luglio 2013

Domanda. Lei ha fatto alcuni viaggi in paesi lontani, per quale motivo ultimamente la sua meta è diventata l’India e dintorni?
Purnananda. In genere c’è una maturazione nelle esperienze di chi, curioso di conoscere nuove realtà, parte alla scoperta di mondi esotici, non solo in termini geografici. Si inizia come turisti spesso con viaggi organizzati, in gruppo con la famiglia o gli amici. Capita poi che venga naturale indossare la veste del viaggiatore; questo segna la fine dei grandi alberghi, pullman A/C ecc. Si comincia ad immergersi nelle usanze del posto, lasciando a casa il bagaglio pesante della valigia e dei preconcetti; zainetto, guida e quaderno per appunti sono tutto ciò che serve. In India si mangia come gli indiani cioè per strada. Si viaggia come gli indiani, i treni sono fantastici gli autobus di linea appena un po’ meno. Appare subito chiaro che una caratteristica dell’India è la lentezza, la relatività del tempo ci restituisce la gioia della calma che sembrava una virtù perduta. Gli alberghi… beh la pulizia non è al vertice delle loro preoccupazioni, ma c’è tutto l’essenziale. Il percorso evolutivo culmina nello scoprirsi semplici pellegrini. Da soli o al massimo in due, le mete diventano i luoghi sacri: templi, fiumi, montagne, gli ashram (eremi per la contemplazione) e si creano legami con le persone di là. Bisogna fare un lavoro di preparazione a casa che permetta di prendere confidenza con la cultura per comprendere meglio la tradizione più autentica e non quella di facciata. I luoghi comuni sono questi: l’India chiama e tu devi andare, l’India o si ama o si odia, andare in India non è fare un viaggio, ma è fare “il” viaggio.
D. Ma lei non si è limitato all’India.
R. È vero,sono stato in Nepal, Tibet, Sri Lanka, Indonesia ecc. anche più volte. Ogni luogo ha le sue attrattive. L’Himalaya ad esempio è indescrivibile, bisogna andarci personalmente per averne un’idea precisa, con tutte le fatiche e i pericoli che comporta. Ho constatato che l’altopiano tibetano è uno dei punti più energetici della Terra e non mi sorprende che da quel posto si sia diffusa, anche in occidente, una saggezza antica ma ancora attualissima. La culla della filosofia orientale rimane tuttavia l’India, come il pensiero della Grecia classica è il germe della nostra filosofia occidentale.
D. Che cosa può dirci la filosofia indiana che già non sappiamo?
R.Qui il discorso diventerebbe molto lungo e forse un po’ noioso. La mia opinione è che chi vive dalle nostre parti se qualche volta si è imbattuto in Platone, Kant, Heidegger ecc. non dovrebbe trascurare di accostarsi ai testi fondamentali della plurimillenaria cultura indiana: i Veda, le Upanishad, la Bhagavad Gita, gli Yogasutra, i tantra, solo per citarne alcuni. Potrebbe fare una scoperta sorprendente. Usando parole difficili ma insostituibili direi che la sapienza indiana colma le lacune lasciate dalla speculazione ontologica occidentale, e questo grazie a uno strumentario metafisico semplice e sofisticato nello stesso tempo. È un campo su cui vale la pena misurarsi e un territorio tutto da esplorare con grande umiltà e abnegazione, ma che darà grandi soddisfazioni intellettuali e non solo.
D. Mi sta incuriosendo e io credo che le sue sensazioni siano già state rivelate al grande pubblico attraverso il suo lavoro.
R. In effetti durante un viaggio avevo conosciuto un professore di filosofia di una prestigiosa università indiana – il prof. Kamalakar Mishra - che ha scritto un libro su una delle dottrine più importanti: lo Shivaismo del Kashmir, che è il fondamento del tantrismo. Questo testo è stato da me tradotto e pubblicato in Italia con il titolo: “Tantra – lo Shivaismo del Kashmir”, edito dalla Laksmi Edizioni di Savona. Si tratta di un compendio completo e accurato che spiega come in un certo tempo, il medioevo, e in un certo luogo, la regione del Kashmir, pensatori mistici illuminati abbiano formulato teorie filosofico-religiose rivelate e tramandate, su Dio, sull’uomo, sul mondo. Insegnamenti che l’India ha adottato fino ad oggi, sia pure a volte inconsapevolmente, e che negli ultimi decenni hanno varcato i confini del subcontinente giungendo fino a noi. È un libro che trasuda amore per il divino e per la sua conoscenza.
D. Sono perplesso, la parola tantrismo non ha una buona fama, è avvertita come sinonimo di libertinaggio.
R. Sono d’accordo. Questo fraintendimento è presto sfatato frequentando il tantrismo indiano in loco. Alla base del malinteso c’è una comunicazione distorta sugli aspetti rituali riportati in certi testi sapienziali, che definiscono la realtà come l’unione di un dio con la sua controparte femminile descritti con le allegorie dell’accoppiamento umano. Tutto questo è stato strumentalizzato per invalidare i limiti imposti da una certa morale, quasi una sorta di liberazione dalle inibizioni e una divinizzazione della sfera sessuale. In realtà non si è percepito che quelle descrizioni richiamano simboli archetipici riferiti più al sacrificio che alla trasgressione. Anzi il sacrificio non è veramente consumato sul piano fisico ma viene sublimato nella coscienza delle entità divine e in quella dei devoti. Gli studiosi e i conoscitori della materia pur non ignorando usi tribali dismessi ormai da secoli e l’iconografia tantrica di inestimabile pregio artistico non prendono nemmeno in considerazione questa volgarizzazione e ci fanno un sorrisetto.
D. Ho capito, non bisogna mai fermarsi alle apparenze di superficie. Per chiudere perché non ci racconta una sua esperienza particolare che le è capitata in uno dei suoi viaggi.
R. Con piacere. La mia prima volta a Benares (Varanasi) ero stato avvertito che avrei dovuto fare un rito di offerta per ricevere dalla divinità l’assenso ad entrare nella città sacra. Questo era possibile solo in un tempio riservato agli indù prima dell’alba. Così appena arrivato avevo preso accordi per il giorno dopo con uno dei risciò a pedali che stazionavano nella zona del ghat. Alle cinque di mattina ero uscito dall’albergo ma del mio uomo neanche l’ombra, era ancora notte, e la notte indiana è una vera notte, inoltre mi sentivo abbastanza ridicolo lì da solo abbigliato com’ero per la circostanza in dhoti e kurta. Dopo un tempo di attesa che mi era sembrato interminabile, al buio, in strada, si materializzò (letteralmente) un ragazzo indiano che mi indicò un tuc-tuc a motore, la mitica Ape, dicendomi che quello era il trasporto riservato a me. Il mio giovane accompagnatore mi portò al tempio e mi guidò nello svolgimento del rito e questa è rimasta l’esperienza spirituale più profonda della mia vita. Ma la cosa non era finita. Il giorno dopo conobbi un medico americano appena più vecchio di me, il quale mi confidò che da anni veniva a Benares senza essere mai riuscito a trovare il tempio per fare questa puja di accettazione. Lo condussi immediatamente da quello che poi è diventato un mio fedele amico indiano, Srikant Sharma, e anche quella persona meravigliosa che è Jeff, con sua immensa gratitudine, poté finalmente adempiere alla prescrizione. Cose che accadono solo nell’India segreta e misteriosa.
D. Ha qualche suggerimento per chi non è mai andato in India e forse non ci andrà mai?
R.Sì! Abituati come siamo all’apparente quieto trantran del nostro paese, non dobbiamo aver paura di affrontare un viaggio nella diversità e complessità più incredibili e contraddittorie. Qualcuno scoprirà di avere un’anima che appartiene a quella storia e a quella civiltà e si riconoscerà “indiano”, sono quelli che poi ritornano continuamente. Altri proveranno repulsione per la povertà, lo sporco, lo smog, il frastuono ininterrotto, il caldo umido, i disagi nell’arrangement, le difficoltà della lingua e la presunta insignificanza delle credenze religiose. Molti però resteranno affascinati dalla bellezza delle persone, dalla natura e dai panorami, dalle forme artistiche, dai profumi, dai colori, dai suoni, dai sapori penetranti e inebrianti, tali da suscitare uno stato emotivo di intima esaltazione che farà tornare a casa tutti in qualche modo trasformati.
Purnananda. In genere c’è una maturazione nelle esperienze di chi, curioso di conoscere nuove realtà, parte alla scoperta di mondi esotici, non solo in termini geografici. Si inizia come turisti spesso con viaggi organizzati, in gruppo con la famiglia o gli amici. Capita poi che venga naturale indossare la veste del viaggiatore; questo segna la fine dei grandi alberghi, pullman A/C ecc. Si comincia ad immergersi nelle usanze del posto, lasciando a casa il bagaglio pesante della valigia e dei preconcetti; zainetto, guida e quaderno per appunti sono tutto ciò che serve. In India si mangia come gli indiani cioè per strada. Si viaggia come gli indiani, i treni sono fantastici gli autobus di linea appena un po’ meno. Appare subito chiaro che una caratteristica dell’India è la lentezza, la relatività del tempo ci restituisce la gioia della calma che sembrava una virtù perduta. Gli alberghi… beh la pulizia non è al vertice delle loro preoccupazioni, ma c’è tutto l’essenziale. Il percorso evolutivo culmina nello scoprirsi semplici pellegrini. Da soli o al massimo in due, le mete diventano i luoghi sacri: templi, fiumi, montagne, gli ashram (eremi per la contemplazione) e si creano legami con le persone di là. Bisogna fare un lavoro di preparazione a casa che permetta di prendere confidenza con la cultura per comprendere meglio la tradizione più autentica e non quella di facciata. I luoghi comuni sono questi: l’India chiama e tu devi andare, l’India o si ama o si odia, andare in India non è fare un viaggio, ma è fare “il” viaggio.
D. Ma lei non si è limitato all’India.
R. È vero,sono stato in Nepal, Tibet, Sri Lanka, Indonesia ecc. anche più volte. Ogni luogo ha le sue attrattive. L’Himalaya ad esempio è indescrivibile, bisogna andarci personalmente per averne un’idea precisa, con tutte le fatiche e i pericoli che comporta. Ho constatato che l’altopiano tibetano è uno dei punti più energetici della Terra e non mi sorprende che da quel posto si sia diffusa, anche in occidente, una saggezza antica ma ancora attualissima. La culla della filosofia orientale rimane tuttavia l’India, come il pensiero della Grecia classica è il germe della nostra filosofia occidentale.
D. Che cosa può dirci la filosofia indiana che già non sappiamo?
R.Qui il discorso diventerebbe molto lungo e forse un po’ noioso. La mia opinione è che chi vive dalle nostre parti se qualche volta si è imbattuto in Platone, Kant, Heidegger ecc. non dovrebbe trascurare di accostarsi ai testi fondamentali della plurimillenaria cultura indiana: i Veda, le Upanishad, la Bhagavad Gita, gli Yogasutra, i tantra, solo per citarne alcuni. Potrebbe fare una scoperta sorprendente. Usando parole difficili ma insostituibili direi che la sapienza indiana colma le lacune lasciate dalla speculazione ontologica occidentale, e questo grazie a uno strumentario metafisico semplice e sofisticato nello stesso tempo. È un campo su cui vale la pena misurarsi e un territorio tutto da esplorare con grande umiltà e abnegazione, ma che darà grandi soddisfazioni intellettuali e non solo.
D. Mi sta incuriosendo e io credo che le sue sensazioni siano già state rivelate al grande pubblico attraverso il suo lavoro.
R. In effetti durante un viaggio avevo conosciuto un professore di filosofia di una prestigiosa università indiana – il prof. Kamalakar Mishra - che ha scritto un libro su una delle dottrine più importanti: lo Shivaismo del Kashmir, che è il fondamento del tantrismo. Questo testo è stato da me tradotto e pubblicato in Italia con il titolo: “Tantra – lo Shivaismo del Kashmir”, edito dalla Laksmi Edizioni di Savona. Si tratta di un compendio completo e accurato che spiega come in un certo tempo, il medioevo, e in un certo luogo, la regione del Kashmir, pensatori mistici illuminati abbiano formulato teorie filosofico-religiose rivelate e tramandate, su Dio, sull’uomo, sul mondo. Insegnamenti che l’India ha adottato fino ad oggi, sia pure a volte inconsapevolmente, e che negli ultimi decenni hanno varcato i confini del subcontinente giungendo fino a noi. È un libro che trasuda amore per il divino e per la sua conoscenza.
D. Sono perplesso, la parola tantrismo non ha una buona fama, è avvertita come sinonimo di libertinaggio.
R. Sono d’accordo. Questo fraintendimento è presto sfatato frequentando il tantrismo indiano in loco. Alla base del malinteso c’è una comunicazione distorta sugli aspetti rituali riportati in certi testi sapienziali, che definiscono la realtà come l’unione di un dio con la sua controparte femminile descritti con le allegorie dell’accoppiamento umano. Tutto questo è stato strumentalizzato per invalidare i limiti imposti da una certa morale, quasi una sorta di liberazione dalle inibizioni e una divinizzazione della sfera sessuale. In realtà non si è percepito che quelle descrizioni richiamano simboli archetipici riferiti più al sacrificio che alla trasgressione. Anzi il sacrificio non è veramente consumato sul piano fisico ma viene sublimato nella coscienza delle entità divine e in quella dei devoti. Gli studiosi e i conoscitori della materia pur non ignorando usi tribali dismessi ormai da secoli e l’iconografia tantrica di inestimabile pregio artistico non prendono nemmeno in considerazione questa volgarizzazione e ci fanno un sorrisetto.
D. Ho capito, non bisogna mai fermarsi alle apparenze di superficie. Per chiudere perché non ci racconta una sua esperienza particolare che le è capitata in uno dei suoi viaggi.
R. Con piacere. La mia prima volta a Benares (Varanasi) ero stato avvertito che avrei dovuto fare un rito di offerta per ricevere dalla divinità l’assenso ad entrare nella città sacra. Questo era possibile solo in un tempio riservato agli indù prima dell’alba. Così appena arrivato avevo preso accordi per il giorno dopo con uno dei risciò a pedali che stazionavano nella zona del ghat. Alle cinque di mattina ero uscito dall’albergo ma del mio uomo neanche l’ombra, era ancora notte, e la notte indiana è una vera notte, inoltre mi sentivo abbastanza ridicolo lì da solo abbigliato com’ero per la circostanza in dhoti e kurta. Dopo un tempo di attesa che mi era sembrato interminabile, al buio, in strada, si materializzò (letteralmente) un ragazzo indiano che mi indicò un tuc-tuc a motore, la mitica Ape, dicendomi che quello era il trasporto riservato a me. Il mio giovane accompagnatore mi portò al tempio e mi guidò nello svolgimento del rito e questa è rimasta l’esperienza spirituale più profonda della mia vita. Ma la cosa non era finita. Il giorno dopo conobbi un medico americano appena più vecchio di me, il quale mi confidò che da anni veniva a Benares senza essere mai riuscito a trovare il tempio per fare questa puja di accettazione. Lo condussi immediatamente da quello che poi è diventato un mio fedele amico indiano, Srikant Sharma, e anche quella persona meravigliosa che è Jeff, con sua immensa gratitudine, poté finalmente adempiere alla prescrizione. Cose che accadono solo nell’India segreta e misteriosa.
D. Ha qualche suggerimento per chi non è mai andato in India e forse non ci andrà mai?
R.Sì! Abituati come siamo all’apparente quieto trantran del nostro paese, non dobbiamo aver paura di affrontare un viaggio nella diversità e complessità più incredibili e contraddittorie. Qualcuno scoprirà di avere un’anima che appartiene a quella storia e a quella civiltà e si riconoscerà “indiano”, sono quelli che poi ritornano continuamente. Altri proveranno repulsione per la povertà, lo sporco, lo smog, il frastuono ininterrotto, il caldo umido, i disagi nell’arrangement, le difficoltà della lingua e la presunta insignificanza delle credenze religiose. Molti però resteranno affascinati dalla bellezza delle persone, dalla natura e dai panorami, dalle forme artistiche, dai profumi, dai colori, dai suoni, dai sapori penetranti e inebrianti, tali da suscitare uno stato emotivo di intima esaltazione che farà tornare a casa tutti in qualche modo trasformati.