Purnananda Zanoni
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L'8 settembre a Lenzerheide

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Sabato 8 settembre mi trovavo in viaggio con la mia amica Monica nelle alpi svizzere. Passando da Tiefencastle, complice anche la splendida giornata di sole con un cielo blu nepal, avevo ammirato uno dei panorami più belli mai visti: un pendio estesissimo ornato a prati tra macchie boscose in tutte le sfumature di verde, un posto da sogno. Ma il bello doveva ancora arrivare. All'entrata di Lenzerheide una guardia ci invitava a non proseguire perché ci sarebbe stata una manifestazione (per fortuna Monica parla tedesco). Parcheggiamo e andiamo a piedi verso il centro del paese e subito arriva la sfilata di... mucche. Scendono dall'alpeggio e tutti fanno festa. I montanari sono vestiti con i panni da lavoro, i bambini semplici innocenti ma dallo sguardo di chi sa già qualcosa di importante hanno un bastone in mano. Belle ragazze in costume locale offrono a tutti fiori presi da cesti traboccanti di mazzi multicolori. Ma lo spettacolo lo danno le vacche. Incedono compassate quasi ieratiche tutte agghindate da cinture floreali e bandierine conficcate sulla testa. Hanno il muso serio e tenero sono concentrate sul loro passo regolare come ritmato, consapevoli di quello che stanno facendo. Al collo hanno dei campanacci smisurati. Sentiti separatamente hanno il suono familiare dei pascoli alpini, ma quando passano in branco compatto e il volume si sovrappone il suono è parossistico, una vibrazione che pervade i sensi perché artiglia la pancia e arriva diretta al centro dove la commozione sopravviene. La natura e l'uomo si fondono nella celebrazione di un rito consuetudinario forse secolare dove l'anima(le) non è diverso e restituisce una dignità perduta.

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Disgrazie, disguidi, divinità.

30 aprile 2014. Stazione Centrale di Milano, treno regionale espresso delle 18,25 per Verona. Quando mancano pochi minuti alla partenza viene annunciato un ritardo di 15’. Il treno è pieno perché è la vigilia del primo maggio e quindi di un lungo ponte. Molti lavoratori e studenti tornano a casa con grosse valige.
Dopo un po’ dicono che una persona è stata investita e su tutta la tratta si avranno pesanti ritardi in attesa che un magistrato vada sul posto.
Poi basta. Nessuno ha più saputo se il treno sarebbe partito né quando. Dopo un’ora e più, la stazione annuncia che su un altro binario c’è in partenza un treno analogo che avrebbe seguito un percorso by-passante. Nel caos generale della stazione affollatissima, centinaia di viaggiatori scendono trafelati da quello delle 18,25 per correre verso quello delle 19,25 e quando la fiumana arriva là scopre che quello è rischedulato con un ritardo maggiore. Torna a casa Lassie. Tutti rifluiscono lesti verso il vecchio convoglio (manca mai che questo parte e ci lascia a terra). Ci ritroviamo straniti nello stesso vagone di prima e ci guardiamo in faccia ridacchiando come stupidi. Molti hanno coincidenze con altri treni (Trento, Mantova ecc.) e per le compagnie telefoniche dei cellulari è un tripudio. Poi senza annuncio parte con due ore e mezza di ritardo. Fa 300 metri fuori della stazione e si ferma, riparte, fa qualche chilometro e si riferma. Un singhiozzo di altre soste interminabili in mezzo all'oscurità delle campagne. Centinaia e centinaia di persone sequestrate per ore, senza uno straccio di comunicazione dall’altoparlante del treno, che pure avrebbe funzionato se avessero voluto, né passaggio di capotreno o bigliettaio. Alla fine arrivo a destinazione, chiedendomi se di fronte a emergenze di questo tipo non sarebbe il caso che l’azienda prepari un piano ben organizzato per contenere questi disagi perpetrati con assoluta indifferenza e non curanza per gli utenti. Ma la disinformazione è ancora giustificabile nell’era del sappiamo sempre tutto in tempo reale?
Ovviamente l’odissea dei viaggiatori non è niente in rapporto al dramma di una vita malamente perduta con dolore per la persona e i suoi familiari. La compassione prende il posto del fastidio. Questa sensazione aleggiava nell’atmosfera calda (soffocante) del vagone. Tuttavia è singolare che io e gli altri profughi dello stesso vagone ci siamo ritrovati ai nostri stessi posti di prima dell’esodo e del contro-esodo. Per affinità elettiva avevamo, consciamente o meno, già stabilito tra noi una relazione di reciproco aiuto e sostegno, come pure di rassegnazione simpaticamente condivisa. L’essere umano è sempre oltre. Questa facoltà empatica permette di superare le contrarietà con dignità e rispetto ed è la prova del divino che è in ognuno.

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