
Mi è stato chiesto cosa succede a una persona quando muore. Non so se c'è qualcuno che possa rispondere a questa domanda, tuttavia sono fiducioso... anch'io come tutti lo saprò. La tradizione buddhista pensa che una grande anima, come di certo è quella del venerabile Lama Sherab, non otterrà subito, per propria scelta di amore e compassione, la liberazione dal ciclo del samsara, ma vi rimarrà attraversando successive reincarnazioni fino a quando anche l'ultimo essere con il suo aiuto avrà realizzato il dharma, cioè lo shunya nirvanico: è il percorso di sacrificio dei Bodhisattva. In un'altra tradizione, l'abbandono del corpo segna la cessazione dell'ego di superficie e ciò che rimane è il riflesso di coscienza gravato dai residui karmici. Per riunirsi all'Uno deve purificarsi seguendo la via dei padri: soste su piani di esistenza opachi e reincarnazioni faticose; oppure la via degli dèi: attesa in astrale luminoso e reincarnazioni benevole. Infine, colui che invece ha realizzato la propria vera natura non-duale (il liberato in vita), gode il sommo bene della conoscenza della realtà infinita e più non ritorna su questo piano di esistenza, fino al riassorbimento finale, quando tutta la realtà rientrerà nell'unità di Coscienza, all'interno della quale la manifestazione oggettiva era stata emanata. Prego lo Spirito risvegliato del Lama Sherab affichè la sua saggezza illumini il mio precorso di auto-realizzazione e quello di chiunque legga queste righe, perché la nostra essenza possa raggiungere presto il brahmaloka
satyam jñānam ānantam brahma
satyam jñānam ānantam brahma
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Tutto Quello Che Capisco, lo Capisco Perchè ho amato (L. Tolstoj)
Voi rimandate, ma il tempo non lo fara (B. Franklin)
Do not meditate-Be! Do not think that you are-Be! Don’t think about Being-You Are!
(Ramana Maharshi)
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Sri Nisargadatta Maharaji – Io sono Quello
Visitatore: E tutto questo gran parlare dell’eliminazione dell’io? Come può l’io eliminare se stesso? Quale acrobazia metafisica può portare alla scomparsa dell’acrobata? Alla fine ricomparirà, fieramente orgoglioso della sua scomparsa.
Maharaji: Non devi andare a caccia dell’“io sono” per ucciderlo. Hai solo bisogno di desiderare intensamente e sinceramente la Realtà. Questo desiderio viene chiamato atma bhakti, l’amore per il Supremo, o moksa samkalpa, la determinazione a liberarsi dal falso.
Senza amore e senza la volontà ispirata dall’amore non si può fare nulla…
Solo quando l’osservatore accetta la persona come sua proiezione o manifestazione, assorbendo per così dire l’io nel Sé, scompare il dualismo tra “io” e “questo” e si manifesta la Realtà Suprema….
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Mondo TANTRA
Tantra non significa libertinaggio sessuale.
Il velo di māyā ricopre diffusamente l’umanità avvolgendola in un involucro di ignoranza e miseria.
La parola tantra è composta da due termini:
tra significa “strumento per” e tan è la radice del verbo “tessere”, lo strumento per tessere produce il tessuto, in latino il textus cioè il testo: il tantra è un testo, un libro.
Chi non legge i testi (sacri) della tradizione tantrica e agamica plurimillenaria e non ha studiato i testi dello Śivaismo del Kashmir non può avere alcuna conoscenza del Tantra.
Le persone caratterizzate dalla nescienza presumono di sapere cosa sia il tantrismo, ma in realtà non ne sanno molto oppure non ne hanno compreso né l’animus né la ratio.
Tramite il libro presentato in questo sito si cerca di diffondere la verità su questa sublime filosofia realizzativa.
Il testo di Kamalakar Mishra (che ci si augura venga letto da molti) dovrebbe gettare un raggio di luce in mezzo a questa tenebra di schiavitù e asservimento all’ignoranza (metafisica).
Di fatti, solo lo studio delle sacre scritture, come è ben ribadito nella Bhagavad Gītā, e il lavoro dharmico possono mettere in condizione una persona di accedere alla dimensione dell’intuizione sulla vera natura della Realtà (tutto è Śiva) ed essere permanentemente consapevole del proprio Sé superiore.
Ci si può accontentare di non far parte di un processo di maturazione della coscienza e rimanere così come si è, cioè senza sentire l’esigenza di indagare ponendosi la domanda: “Chi sono io?” Ciò non rappresenterebbe alcun problema per l’esistenza in sé.
Tutto andrà avanti come deve andare perché così deve essere
Da parte dell’aspirante conoscitore l’unica cosa che può essere fatta è tentare di compiere un salto evolutivo e riconoscersi per ciò che si è realmente.
La nostra testimonianza potrà forse aiutare noi stessi e gli altri a vivere meglio perché si è compreso il senso profondo della vita. (P. Z.)
Quando l’aspirante risiede nello stato di śāmbhava, la sua piena identità universale (pūrṇāhantā), è già nella dimensione della vāk (la parola), ovvero della parola suprema la parāvāk. E non solo egli si trova al livello della sacra parāvāk, ma può attraversare tutti i suoni. Può salire allo stato della parola suprema, scendere a quello della parola grossolana e viceversa. Può salire e scendere senza che la sua coscienza venga alterata. La sua coscienza rimane sempre uguale in qualsiasi stato.
Il sostrato della parola di verità è il silenzio. Per questo devono essere banditi il pettegolezzo e i discorsi superficiali, che sono prevalenti anche tra i praticanti. (Svami Laksman Ju)
Il mondo, secondo lo Śivaismo del Kashmir, è un’auto-proiezione cosciente della Coscienza di Śiva (Īśvaraprathyabhijñā Kārikā). Come tale, il mondo non è fatto di materia, ma di Coscienza e quindi non è "reale", ma una proiezione "ideale" della Coscienza. Tuttavia, lo Śivaismo del Kashmir si differenzia dall’Advaita Vedānta in quanto il mondo, secondo lo Śivaismo del Kashmir, è un’auto-proiezione attiva di Śiva, mentre secondo l’Advaita Vedānta, si tratta di una sovrapposizione (adhyāsa) sul Brahman e il Brahman rimane neutrale.
TANTRA - Lo Śivaismo del Kashmir
Io sono il Supremo brahman. La mia natura è sia immanifesta in quanto Realtà Suprema (brahman) sia manifesta essendo il Signore dell’universo (Īśa). O Brahmā e Viṣṇu, per la mia grandezza (bṛhattva) e in quanto io mi dispiego e mi espando (bṛṃhaṇatva) io sono il brahman. E sono anche il Sé (ātman) per effetto dell’identità tra il Sé e l’Assoluto (samatva) e della mia onnipervadenza (vyāpakatva). In relazione all'universo mi competono cinque attività, che sono: la proiezione (la manifestazione) del mondo (sarga - sṛṣṭi), il suo mantenimento (sthiti), la dissoluzione (saṃhāra - saṃhṛti), l’occultamento della verità per quelle anime che sono lontane dal bene (tirobhāva – nigraha – vilaya) e lo svelamento della verità, la grazia, (anugraha) per quelle anime che si avvicinano al bene. Queste cinque funzioni mi appartengono perché sono il Signore, il Principio che regge l’universo. È per far comprendere la mia natura di realtà suprema che ho eretto il liṅga. Ed è per affermare la mia signoria sull’universo che Io mi sono manifestato nella forma, incorporea, del Signore.
Śiva Purāṇa
Svātantrya – l’Assoluto è libertà
L’affermazione a priori dei seguaci del Trika (lo Śivaismo del Kashmir) che la coscienza è assolutamente libera, fa sorgere una serie di domande, e una di queste potrebbe essere: perché la coscienza, sul piano empirico, sperimenta il legame del limitato e del finito? La risposta a questa domanda data dal Trika è nella sostanza più teologica che filosofica. Dice che la coscienza di un individuo, che è essenzialmente identica alla Coscienza Suprema, sperimenta la limitazione della libertà a causa delle varie impurità (mala). Le contaminazioni agiscono come velamenti che operano l’occultamento. Questi strati impediscono all’uomo di essere libero. E non è solo la privazione della libertà che viene oscurata ma le impurità occultano anche la conoscenza, come quando nel sonno profondo, l’individuo non è mai consapevole né di se stesso né degli oggetti. Le impurità sono paragonabili alle nuvole che nascondono i raggi del sole causando in qualche modo l’oscurità. Tuttavia questi velamenti non hanno il potere di annullare la natura essenziale della coscienza, che è quella della piena libertà e conoscenza. Tant’è che quando le nuvole vengono spazzate via la luce del sole ritorna a splendere, così quando le impurità vengono rimosse la coscienza individuale sperimenta la libertà illimitata. L’esperienza della coscienza libera è commisurata alla rimozione delle contaminazioni. Quando una persona, per mezzo della introspezione entra nella propria interiorità può eliminare ogni strato di impurità velante e raggiungere lo stato supremo di Śiva, nel quale la libertà assoluta e la conoscenza sono realizzate.
tratto da: The Trika Śaivism of Kashmir di Moti Lal Pandit - ed.Munshiram Manoharlal Publishers Pvt. Ltd. - New Delhi 2003 - pag 197 (Cosmic manifestation)
NUMERO 12 dvādaśa
è un numero perfetto perché rappresenta tutta la Realtà
contiene l’UNO, la coscienza assoluta, il sostrato, l’unità di tutte le cose
contiene il Due, la differenziazione ontologica della manifestazione apparente
la loro somma è il tre: la realtà è triadica, Trika
le triadi sono molte, le Śakti: icchā-jnana-kriyā; le Vak: paśantī-madhyamā-vaikarī; le Potenze: para-parāpara-apara, Śiva-Śakti-nara; paśu-paśa-Pati, Prakaśa-vimarśa-dravya; ecc.
la parola sacra e il numero, arcani e archetipi: sintesi di Spirito, intelletto, cuore. SAUḤ
La triade pramātṛ-pramāṇa-prameya
Il mondo è costituito dalla triade pramātṛ-pramāṇa-prameya, designazioni intimamente e mutualmente interconnesse e tutte assolutamente necessarie al processo di conoscenza del mondo esteriore. Senza una di esse, nessuna delle altre esisterebbe né in sé né per forma e nome. Se non ci fosse il “conoscitore” (pramātṛ), i mezzi di conoscenza (pramāṇa) non potrebbero essere utilizzati e l’oggetto di conoscenza (prameya) non sarebbe conoscibile. In questo contesto il termine bhāsya (la cosa da portare alla luce) e prameya (l’oggetto da conoscere) sono considerati sinonimi, ma bhāsya può anche rappresentare uno schema psicologico.
Senza la percezione (bhāna), non vi è alcuna possibilità di conoscere una cosa (bhāsya). Come è universalmente noto una cosa da conoscere non può essere ritenuta tale se non attraverso un mezzo di conoscenza e ne consegue che questo mezzo di conoscenza è ricompreso nella stessa cosa da conoscere.
Il conoscitore, la conoscenza e l’oggetto di conoscenza dipendono l’uno dall’altro (anyonyāpekṣa). Un’entità da conoscere non può diventare oggetto di conoscenza se non è oggetto (viṣaya) di un mezzo di conoscenza. Si chiama mezzo di conoscenza (pramāṇa) la modificazione dell’organo interno (antaḥkaraṇavṛtti) che ha per oggetto l’entità da conoscere (prameya).
Il conoscitore (pramātṛ) è la coscienza limitata dall’organo interno (antaḥkaraṇāvacchinna-caitanya), cioè la sede della cognizione di cui il soggetto è l’oggetto conoscibile.
La modificazione dell’organo interno nella forma di oggetto conoscibile fondato sul conoscitore è chiamato mezzo di conoscenza, oppure anche “conoscenza”. Ma, in realtà, è il Sé (ātman) che è l’eterna conoscenza (nityabodha), che illumina l’origine, il sostenimento e la destinazione finale di tutto ciò. È Lui che è il sé-testimone (sākṣin), Lui solo colui che è chiamato l’Assoluto (brahman).
(Symboles du monothéisme hindou - J.L.Gabin - G. Pellegrini - ed. CERF)
Per il fatto di essere 'nati' entrando in un circolo d'azioni senza inizio i jiva [le creature viventi] rimangono separati da Shiva, regolati dalla felicità prodotta dalle loro virtù e dai dolori dei loro peccati. Ricevendo forme fisiche, età e destini delle rispettive specie secondo le loro volontà e azioni, queste creature attaccate all'antica ignoranza e influenzate dall'ambiente circostante passano continuamente da una nascita all'altra.
Kularnava Tantra
Kshemaraja chiarisce che solo la conoscenza prakriya [conoscenza tantrica], la cui pre-condizione è la shivadiksha, conduce alla liberazione. Rispetto a questa, tutte le altre categorie della conoscenza sono inferiori. Questo vale anche in riferimento alle altre scuole e sistemi accennati in precedenza. Kshemaraja riguardo allo yoga dice: “Non c’è yoga quando la meta suprema, dimora del riposo, è sconosciuta. E anche se fosse conosciuta, in questo sistema (iha) sarebbe uno yoga limitato, non sarebbe lo yoga di emulazione del Trascendente, in quanto qui solo quello viene chiamato yoga supremo, ovvero ciò che che può unire (con l’Assoluto).”
L'ermeneutica dell'Assoluto secondo Abhinavagupta - Anuttaraprakriya
Il Signore, a causa del Suo gioco (la līlā divina) diventa paśu (anima asservita alla schiavitù dell’ignoranza) individuale e assume la forma dei corpi che vivono nell’inferno del peccato e soffrono. Proprio come un re onnipotente e di umore giocoso per muoversi va a piedi invece di usare la carrozza reale, così anche il Signore gioca felice in corpi umani.
Śivadṛṣṭi
Non si deve cercare niente, né conoscenza né scienza, né interiorità né devozione né pace, ma soltanto la volontà di Dio. Se si cerca soltanto la volontà di Dio, si deve accettare quello che ci capita o che ci viene manifestato, come un dono di Dio e non stare a vedere e considerare se venga dalla natura o dalla grazia, o da dove o in qual modo: tutto ciò deve essere per noi indifferente. Allora uno è come deve essere; e si deve condurre una semplice vita cristiana, senza mirare a una condotta particolare. Quel che si fa è sempre sufficiente, se v’è in noi l’amore di Dio. L’anima è fatta per un bene così grande ed alto, che essa non può in alcun modo trovare riposo, ed è sempre infelice, finché non giunge, sopra ogni modo, a quel bene eterno che è Dio, per il quale essa è fatta. Non vi giunge però con impeto, con la rigida ostinazione a fare questo e a lasciare quello, ma con la mitezza, in fedele umiltà e rinuncia a se stesso, nei confronti di tutto quello che capita. A questo mira ciò che si può consigliare e insegnare: che l’uomo si lasci condurre e non abbia che Dio in vista, per quanto questo si possa presentare con molte e diverse parole. L’uomo non deve pensare di progredire in una vita buona per il fatto che digiuna molto o compie molte opere esteriori; un segno del suo progresso è invece l’avere maggiore amore per le cose eterne e più avversione per quelle effimere. L’uomo deve rivolgere il proprio volere a Dio in ogni opera ed avere negli occhi Dio solo. E così proceda e non abbia timore, senza stare a considerare se così va bene per non compiere passi falsi. L'uomo deve seguire la prima ispirazione e procedere avanti; allora giunge dove deve e va bene così.
Gott hat die Armen (Meister Eckhart)
Il velo di māyā ricopre diffusamente l’umanità avvolgendola in un involucro di ignoranza e miseria.
La parola tantra è composta da due termini:
tra significa “strumento per” e tan è la radice del verbo “tessere”, lo strumento per tessere produce il tessuto, in latino il textus cioè il testo: il tantra è un testo, un libro.
Chi non legge i testi (sacri) della tradizione tantrica e agamica plurimillenaria e non ha studiato i testi dello Śivaismo del Kashmir non può avere alcuna conoscenza del Tantra.
Le persone caratterizzate dalla nescienza presumono di sapere cosa sia il tantrismo, ma in realtà non ne sanno molto oppure non ne hanno compreso né l’animus né la ratio.
Tramite il libro presentato in questo sito si cerca di diffondere la verità su questa sublime filosofia realizzativa.
Il testo di Kamalakar Mishra (che ci si augura venga letto da molti) dovrebbe gettare un raggio di luce in mezzo a questa tenebra di schiavitù e asservimento all’ignoranza (metafisica).
Di fatti, solo lo studio delle sacre scritture, come è ben ribadito nella Bhagavad Gītā, e il lavoro dharmico possono mettere in condizione una persona di accedere alla dimensione dell’intuizione sulla vera natura della Realtà (tutto è Śiva) ed essere permanentemente consapevole del proprio Sé superiore.
Ci si può accontentare di non far parte di un processo di maturazione della coscienza e rimanere così come si è, cioè senza sentire l’esigenza di indagare ponendosi la domanda: “Chi sono io?” Ciò non rappresenterebbe alcun problema per l’esistenza in sé.
Tutto andrà avanti come deve andare perché così deve essere
Da parte dell’aspirante conoscitore l’unica cosa che può essere fatta è tentare di compiere un salto evolutivo e riconoscersi per ciò che si è realmente.
La nostra testimonianza potrà forse aiutare noi stessi e gli altri a vivere meglio perché si è compreso il senso profondo della vita. (P. Z.)
Quando l’aspirante risiede nello stato di śāmbhava, la sua piena identità universale (pūrṇāhantā), è già nella dimensione della vāk (la parola), ovvero della parola suprema la parāvāk. E non solo egli si trova al livello della sacra parāvāk, ma può attraversare tutti i suoni. Può salire allo stato della parola suprema, scendere a quello della parola grossolana e viceversa. Può salire e scendere senza che la sua coscienza venga alterata. La sua coscienza rimane sempre uguale in qualsiasi stato.
Il sostrato della parola di verità è il silenzio. Per questo devono essere banditi il pettegolezzo e i discorsi superficiali, che sono prevalenti anche tra i praticanti. (Svami Laksman Ju)
Il mondo, secondo lo Śivaismo del Kashmir, è un’auto-proiezione cosciente della Coscienza di Śiva (Īśvaraprathyabhijñā Kārikā). Come tale, il mondo non è fatto di materia, ma di Coscienza e quindi non è "reale", ma una proiezione "ideale" della Coscienza. Tuttavia, lo Śivaismo del Kashmir si differenzia dall’Advaita Vedānta in quanto il mondo, secondo lo Śivaismo del Kashmir, è un’auto-proiezione attiva di Śiva, mentre secondo l’Advaita Vedānta, si tratta di una sovrapposizione (adhyāsa) sul Brahman e il Brahman rimane neutrale.
TANTRA - Lo Śivaismo del Kashmir
Io sono il Supremo brahman. La mia natura è sia immanifesta in quanto Realtà Suprema (brahman) sia manifesta essendo il Signore dell’universo (Īśa). O Brahmā e Viṣṇu, per la mia grandezza (bṛhattva) e in quanto io mi dispiego e mi espando (bṛṃhaṇatva) io sono il brahman. E sono anche il Sé (ātman) per effetto dell’identità tra il Sé e l’Assoluto (samatva) e della mia onnipervadenza (vyāpakatva). In relazione all'universo mi competono cinque attività, che sono: la proiezione (la manifestazione) del mondo (sarga - sṛṣṭi), il suo mantenimento (sthiti), la dissoluzione (saṃhāra - saṃhṛti), l’occultamento della verità per quelle anime che sono lontane dal bene (tirobhāva – nigraha – vilaya) e lo svelamento della verità, la grazia, (anugraha) per quelle anime che si avvicinano al bene. Queste cinque funzioni mi appartengono perché sono il Signore, il Principio che regge l’universo. È per far comprendere la mia natura di realtà suprema che ho eretto il liṅga. Ed è per affermare la mia signoria sull’universo che Io mi sono manifestato nella forma, incorporea, del Signore.
Śiva Purāṇa
Svātantrya – l’Assoluto è libertà
L’affermazione a priori dei seguaci del Trika (lo Śivaismo del Kashmir) che la coscienza è assolutamente libera, fa sorgere una serie di domande, e una di queste potrebbe essere: perché la coscienza, sul piano empirico, sperimenta il legame del limitato e del finito? La risposta a questa domanda data dal Trika è nella sostanza più teologica che filosofica. Dice che la coscienza di un individuo, che è essenzialmente identica alla Coscienza Suprema, sperimenta la limitazione della libertà a causa delle varie impurità (mala). Le contaminazioni agiscono come velamenti che operano l’occultamento. Questi strati impediscono all’uomo di essere libero. E non è solo la privazione della libertà che viene oscurata ma le impurità occultano anche la conoscenza, come quando nel sonno profondo, l’individuo non è mai consapevole né di se stesso né degli oggetti. Le impurità sono paragonabili alle nuvole che nascondono i raggi del sole causando in qualche modo l’oscurità. Tuttavia questi velamenti non hanno il potere di annullare la natura essenziale della coscienza, che è quella della piena libertà e conoscenza. Tant’è che quando le nuvole vengono spazzate via la luce del sole ritorna a splendere, così quando le impurità vengono rimosse la coscienza individuale sperimenta la libertà illimitata. L’esperienza della coscienza libera è commisurata alla rimozione delle contaminazioni. Quando una persona, per mezzo della introspezione entra nella propria interiorità può eliminare ogni strato di impurità velante e raggiungere lo stato supremo di Śiva, nel quale la libertà assoluta e la conoscenza sono realizzate.
tratto da: The Trika Śaivism of Kashmir di Moti Lal Pandit - ed.Munshiram Manoharlal Publishers Pvt. Ltd. - New Delhi 2003 - pag 197 (Cosmic manifestation)
NUMERO 12 dvādaśa
è un numero perfetto perché rappresenta tutta la Realtà
contiene l’UNO, la coscienza assoluta, il sostrato, l’unità di tutte le cose
contiene il Due, la differenziazione ontologica della manifestazione apparente
la loro somma è il tre: la realtà è triadica, Trika
le triadi sono molte, le Śakti: icchā-jnana-kriyā; le Vak: paśantī-madhyamā-vaikarī; le Potenze: para-parāpara-apara, Śiva-Śakti-nara; paśu-paśa-Pati, Prakaśa-vimarśa-dravya; ecc.
la parola sacra e il numero, arcani e archetipi: sintesi di Spirito, intelletto, cuore. SAUḤ
La triade pramātṛ-pramāṇa-prameya
Il mondo è costituito dalla triade pramātṛ-pramāṇa-prameya, designazioni intimamente e mutualmente interconnesse e tutte assolutamente necessarie al processo di conoscenza del mondo esteriore. Senza una di esse, nessuna delle altre esisterebbe né in sé né per forma e nome. Se non ci fosse il “conoscitore” (pramātṛ), i mezzi di conoscenza (pramāṇa) non potrebbero essere utilizzati e l’oggetto di conoscenza (prameya) non sarebbe conoscibile. In questo contesto il termine bhāsya (la cosa da portare alla luce) e prameya (l’oggetto da conoscere) sono considerati sinonimi, ma bhāsya può anche rappresentare uno schema psicologico.
Senza la percezione (bhāna), non vi è alcuna possibilità di conoscere una cosa (bhāsya). Come è universalmente noto una cosa da conoscere non può essere ritenuta tale se non attraverso un mezzo di conoscenza e ne consegue che questo mezzo di conoscenza è ricompreso nella stessa cosa da conoscere.
Il conoscitore, la conoscenza e l’oggetto di conoscenza dipendono l’uno dall’altro (anyonyāpekṣa). Un’entità da conoscere non può diventare oggetto di conoscenza se non è oggetto (viṣaya) di un mezzo di conoscenza. Si chiama mezzo di conoscenza (pramāṇa) la modificazione dell’organo interno (antaḥkaraṇavṛtti) che ha per oggetto l’entità da conoscere (prameya).
Il conoscitore (pramātṛ) è la coscienza limitata dall’organo interno (antaḥkaraṇāvacchinna-caitanya), cioè la sede della cognizione di cui il soggetto è l’oggetto conoscibile.
La modificazione dell’organo interno nella forma di oggetto conoscibile fondato sul conoscitore è chiamato mezzo di conoscenza, oppure anche “conoscenza”. Ma, in realtà, è il Sé (ātman) che è l’eterna conoscenza (nityabodha), che illumina l’origine, il sostenimento e la destinazione finale di tutto ciò. È Lui che è il sé-testimone (sākṣin), Lui solo colui che è chiamato l’Assoluto (brahman).
(Symboles du monothéisme hindou - J.L.Gabin - G. Pellegrini - ed. CERF)
Per il fatto di essere 'nati' entrando in un circolo d'azioni senza inizio i jiva [le creature viventi] rimangono separati da Shiva, regolati dalla felicità prodotta dalle loro virtù e dai dolori dei loro peccati. Ricevendo forme fisiche, età e destini delle rispettive specie secondo le loro volontà e azioni, queste creature attaccate all'antica ignoranza e influenzate dall'ambiente circostante passano continuamente da una nascita all'altra.
Kularnava Tantra
Kshemaraja chiarisce che solo la conoscenza prakriya [conoscenza tantrica], la cui pre-condizione è la shivadiksha, conduce alla liberazione. Rispetto a questa, tutte le altre categorie della conoscenza sono inferiori. Questo vale anche in riferimento alle altre scuole e sistemi accennati in precedenza. Kshemaraja riguardo allo yoga dice: “Non c’è yoga quando la meta suprema, dimora del riposo, è sconosciuta. E anche se fosse conosciuta, in questo sistema (iha) sarebbe uno yoga limitato, non sarebbe lo yoga di emulazione del Trascendente, in quanto qui solo quello viene chiamato yoga supremo, ovvero ciò che che può unire (con l’Assoluto).”
L'ermeneutica dell'Assoluto secondo Abhinavagupta - Anuttaraprakriya
Il Signore, a causa del Suo gioco (la līlā divina) diventa paśu (anima asservita alla schiavitù dell’ignoranza) individuale e assume la forma dei corpi che vivono nell’inferno del peccato e soffrono. Proprio come un re onnipotente e di umore giocoso per muoversi va a piedi invece di usare la carrozza reale, così anche il Signore gioca felice in corpi umani.
Śivadṛṣṭi
Non si deve cercare niente, né conoscenza né scienza, né interiorità né devozione né pace, ma soltanto la volontà di Dio. Se si cerca soltanto la volontà di Dio, si deve accettare quello che ci capita o che ci viene manifestato, come un dono di Dio e non stare a vedere e considerare se venga dalla natura o dalla grazia, o da dove o in qual modo: tutto ciò deve essere per noi indifferente. Allora uno è come deve essere; e si deve condurre una semplice vita cristiana, senza mirare a una condotta particolare. Quel che si fa è sempre sufficiente, se v’è in noi l’amore di Dio. L’anima è fatta per un bene così grande ed alto, che essa non può in alcun modo trovare riposo, ed è sempre infelice, finché non giunge, sopra ogni modo, a quel bene eterno che è Dio, per il quale essa è fatta. Non vi giunge però con impeto, con la rigida ostinazione a fare questo e a lasciare quello, ma con la mitezza, in fedele umiltà e rinuncia a se stesso, nei confronti di tutto quello che capita. A questo mira ciò che si può consigliare e insegnare: che l’uomo si lasci condurre e non abbia che Dio in vista, per quanto questo si possa presentare con molte e diverse parole. L’uomo non deve pensare di progredire in una vita buona per il fatto che digiuna molto o compie molte opere esteriori; un segno del suo progresso è invece l’avere maggiore amore per le cose eterne e più avversione per quelle effimere. L’uomo deve rivolgere il proprio volere a Dio in ogni opera ed avere negli occhi Dio solo. E così proceda e non abbia timore, senza stare a considerare se così va bene per non compiere passi falsi. L'uomo deve seguire la prima ispirazione e procedere avanti; allora giunge dove deve e va bene così.
Gott hat die Armen (Meister Eckhart)
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Tutte le scuole dichiarano che l'ignoranza è la causa della schiavitù nel samsara (il ciclo delle rinascite) e che la conoscenza è l'unica causa della liberazione.
Tantraloka (Abhinavagupta)
Ti ho rivelato la saggezza che è il segreto di tutti i segreti, e ora dopo averla meditata, agisci come desideri.
Bhagavadgita
L'uomo non deve spaventarsi di nulla, finché la sua volontà è buona,
né deve affliggersi se non può metterla in pratica attraverso le opere; né deve considerarsi lontano dalle virtù, se ha in sé una vera buona volontà giacché la virtù e ogni bene risiedono nella buona volontà. Se tu possiedi una volontà giusta, nulla ti mancherà: né amore, né umiltà, né virtù alcuna. Ciò che tu vuoi con tutta la tua volontà, tu lo possiedi, e non te lo può togliere né Dio né alcuna creatura, purché la tua volontà sia integra e veramente divina, e applicata al presente. Non devi dire "Vorrei...", giacché questo rimanda al futuro, ma invece: "Voglio che ora sia così". In verità, con la volontà io posso tutto. Posso sostenere la pena di tutti gli uomini, nutrire tutti i poveri, compiere le opere di ogni uomo, e qualsiasi cosa tu possa immaginare. Se non è la volontà che ti manca, ma solo la possibilità di agire, in verità tu hai compiuto, davanti a Dio, tutto questo. E nessuno te lo può togliere o contestare un solo istante, giacché voler fare, se se ne avesse la possibilità, e aver fatto, sono davanti a Dio la stessa cosa. Ugualmente, se io volessi avere tanta volontà quanta ne ha il mondo intero, e se tale desiderio fosse grande e totale, davvero io avrei questa volontà, perché io ho ciò che voglio avere. La volontà è piena e retta quando è totalmente spoglia di se stessa, disappropriata, e formata sulla volontà di Dio.
Istruzioni spirituali, n. 10 (Meister Eckhart)
Tantraloka (Abhinavagupta)
Ti ho rivelato la saggezza che è il segreto di tutti i segreti, e ora dopo averla meditata, agisci come desideri.
Bhagavadgita
L'uomo non deve spaventarsi di nulla, finché la sua volontà è buona,
né deve affliggersi se non può metterla in pratica attraverso le opere; né deve considerarsi lontano dalle virtù, se ha in sé una vera buona volontà giacché la virtù e ogni bene risiedono nella buona volontà. Se tu possiedi una volontà giusta, nulla ti mancherà: né amore, né umiltà, né virtù alcuna. Ciò che tu vuoi con tutta la tua volontà, tu lo possiedi, e non te lo può togliere né Dio né alcuna creatura, purché la tua volontà sia integra e veramente divina, e applicata al presente. Non devi dire "Vorrei...", giacché questo rimanda al futuro, ma invece: "Voglio che ora sia così". In verità, con la volontà io posso tutto. Posso sostenere la pena di tutti gli uomini, nutrire tutti i poveri, compiere le opere di ogni uomo, e qualsiasi cosa tu possa immaginare. Se non è la volontà che ti manca, ma solo la possibilità di agire, in verità tu hai compiuto, davanti a Dio, tutto questo. E nessuno te lo può togliere o contestare un solo istante, giacché voler fare, se se ne avesse la possibilità, e aver fatto, sono davanti a Dio la stessa cosa. Ugualmente, se io volessi avere tanta volontà quanta ne ha il mondo intero, e se tale desiderio fosse grande e totale, davvero io avrei questa volontà, perché io ho ciò che voglio avere. La volontà è piena e retta quando è totalmente spoglia di se stessa, disappropriata, e formata sulla volontà di Dio.
Istruzioni spirituali, n. 10 (Meister Eckhart)
Un discepolo laico, chiamato Hsiang, scrisse a Hui-k'e: «L'ombra segue il corpo e l'eco nasce dal suono. Chi affatica il corpo inseguendo l'ombra non sa che è il corpo a produrre l'ombra; e chi cerca di soffocare un'eco alzando la voce non sa che la causa dell'eco è la voce. [Del pari] chi cerca il nirvana stroncando i desideri e le passioni può essere paragonato a chi insegue un'ombra ritenendola distinta dal corpo che la proietta; e chi aspira a divenire un Buddha credendo che lo stato di Buddha sia indipendente dalla natura degli esseri senzienti può venire paragonato a chi cerca di cogliere un'eco soffocando il suono che lo origina. Pertanto l'insipiente e l'illuminato vanno per la stessa via; l'uomo volgare e il saggio non debbono venire contrapposti l'uno all'altro. Dove non vi sono nomi, noi creiamo dei nomi e in base a tali nomi pronunciamo dei giudizi. dove non vi è niente da teorizzare, noi creiamo delle teorie ed è così che scoppiano tante dispute. Ma tutti questi sono dei fantasmi, non delle realtà [...] Tutte queste creazioni sono vuote, sono prive di sostanza [...]. Questa è la mia opinione: potete illuminarmi e dirmi se sono in errore?».
Hui-k'e rispose: «Tu hai veramente compreso il Dharma così come è; la verità più profonda sta nel principio di identità. È a causa della propria ignoranza che il gioiello viene scambiato per un sasso - ma ecco! d'un tratto ci si desta all'illuminazione e allora ci si accorge di possedere già il vero gioiello. L'ignorante e l'illuminato hanno la stessa essenza e non possono venire realmente distinti. Noi dovremmo riconoscere che tutte le cose sono così come sono. Vi è da compatire coloro che si tengono ad una concezione dualistica del mondo [...]. Quando sappiamo che non v'è da distinguere fra questo essere [letteralmente: corpo] e il Buddha, che senso ha andare alla cerca del nirvana [come qualcosa di esterno a noi]?».
Daisetz Teitaro Suzuki
Hui-k'e rispose: «Tu hai veramente compreso il Dharma così come è; la verità più profonda sta nel principio di identità. È a causa della propria ignoranza che il gioiello viene scambiato per un sasso - ma ecco! d'un tratto ci si desta all'illuminazione e allora ci si accorge di possedere già il vero gioiello. L'ignorante e l'illuminato hanno la stessa essenza e non possono venire realmente distinti. Noi dovremmo riconoscere che tutte le cose sono così come sono. Vi è da compatire coloro che si tengono ad una concezione dualistica del mondo [...]. Quando sappiamo che non v'è da distinguere fra questo essere [letteralmente: corpo] e il Buddha, che senso ha andare alla cerca del nirvana [come qualcosa di esterno a noi]?».
Daisetz Teitaro Suzuki
Natale
“Un bimbo è nato in noi, un figlio ci è stato dato” (Is 9,6)
In questo giorno la santa cristianità celebra una triplice nascita, in cui ogni cristiano dovrebbe ricevere immensa gioia e giubilo interiore.
E un uomo che non sperimentasse nulla in sé dovrebbe spaventarsi.
La prima e più sublime nascita avviene nel momento in cui il Padre celeste genera il Figlio unigenito nell’essenza divina e nella distinzione della persona. La seconda nascita, che oggi viene appunto celebrata, è la vergine e pura fecondità materna.
La terza nascita avviene quando Dio nasce, in modo vero e spirituale, ogni giorno ed ogni ora nell’anima buona.
Queste tre nascite del Signore vengono celebrate nelle tre sante Messe. La prima Messa si celebra nella notte oscura ed inizia con le parole:
“Il Signore mi disse: Figlio mio oggi ti ho generato”.
Questa Messa tratta della nascita nascosta che avvenne nell’oscuro della sconosciuta divinità. La seconda Messa inizia con le parole: “Oggi la luce risplenderà sopra di noi”. E celebra lo splendore della natura umana divinizzata, parte nel buio e parte durante il giorno, poiché questa nascita era solo in parte conosciuta. La terza Messa si celebra con il chiarore del giorno e comincia con queste parole: “Un bambino è nato in noi e un figlio ci è stato dato”. In essa si simbolizza l’amata nascita che avviene e deve avvenire in ogni anima buona e santa, solo se questa saprà rivolgersi ad essa con attenzione e amore, poiché se quest’anima vorrà sperimentare e sentire in sé tale nascita dovrà farlo rivoltando e raccogliendo tutte le sue forze.
In questa nascita nell’anima, Dio diventa così aderente ad essa che sembra mai fosse altra cosa più propria. La Sacra Scrittura dice: “Ci è nato un bimbo, ci è stato dato un figlio. Egli è nostro, più proprio di ogni altra cosa propria, egli nasce in noi ininterrottamente”. Di tale nascita a cui si riferisce l’ultima Messa vogliamo parlare per prima.
Se vogliamo che questa nobile nascita avvenga in noi nel modo più fruttuoso dobbiamo apprendere dalla prima nascita paterna, quando il Padre genera il suo Figlio nell’eternità.
Infatti, per la sua infinità bontà Dio non poteva chiudersi in se stesso ma doveva diffondersi e comunicarsi.
Come dicono Boezio e Agostino, la qualità e la natura di Dio è quella di diffondersi, così il Padre si è effuso nella processione delle persone divine e poi si è diffuso nelle creature.
Sant’Agostino ha detto che “noi esistiamo perché Dio è buono e tutto quello che le creature hanno di buono deriva solo dalla bontà essenziale di Dio”...
... La compiacenza di Dio si effonde in un amore ineffabile che è lo Spirito Santo, così Dio resta in se stesso esce da sé e vi rientra... Il corso dell’uomo come il corso del cielo sono i più nobili ed i più perfetti, in quanto ritornano alla propria origine. La proprietà che il Padre ha di entrare in sé e di uscirne, la deve avere in sé anche l’uomo che vuol diventare una madre spirituale di questa nascita divina.
... Deve avvenire un energico rientro, una riparazione, un raccoglimento interiore di tutte le facoltà, le superiori e le inferiori, e deve esserci una concentrazione da ogni dispersione, così come tutte le cose unite sono più forti …, come tutti i rami escono fuori dal fusto dell’albero, così tutte le facoltà sensibili, concupiscibili e irascibili, sono unite alle superiori nel fondo dell’anima: questo è il rientrare.
Se deve esserci allora un’uscita, cioè un’elevazione al di fuori e al di sopra di se stessi, noi dobbiamo rinunziare ad ogni nostro volere, desiderio ed azione; non deve restarci che una nuda e pura intenzione di Dio e assolutamente nulla del nostro essere, divenire e guadagno, ma solamente un appartenergli, un fargli posto nella parte più elevata e più intima, affinché Egli possa realizzare in noi la sua opera e non venga da noi ostacolato nella sua nascita. Perché quando due devono diventare uno, uno deve comportarsi da paziente, l’altro da agente.
Se il mio occhio deve percepire le immagini sulla parete o vedere qualunque altra cosa, deve essere privo di ogni altra immagine, perché se avesse innanzi a sé un solo colore, non vedrebbe più alcun altro colore; o se l’orecchio percepisce un tono, non può sentirne bene un’altro. Qualsiasi cosa deve ricevere dev’essere vuota, libera e sgombra. A questo riguardo Sant’Agostino dice: “Vuotati, perché possa essere riempito; esci per poter entrare”. E in un altro luogo: “O tu, nobile anima, o nobile creatura, perché vai a cercare fuori di te Colui che è interamente, in tutta verità e nudamente in te; e dal momento che sei partecipe della natura divina, cosa ti importa di tutte le creature o cosa hai da fare con esse.“Se l’uomo preparasse così il posto, il fondo, non c’è alcun dubbio che Dio dovrebbe riempirlo completamente pure se dovesse rompersi il cielo per ricolmare il vuoto”. Dio non lascia le cose vuote, sarebbe contrario a tutta la sua natura ed alla sua giustizia.
Perciò è molto importante che tu taccia, così sentirai parlare il Verbo in te. Ma sii certo che se tu vuoi parlare Egli deve tacere. Non si può servire meglio il Verbo che tacendo e ascoltando. Se gli farai posto uscendo completamente egli entrerà interamente, perché né meno né più di quanto tu esci egli entra. Quando Dio, nel primo libro di Mosè comanda ad Abramo di allontanarsi dal suo paese e dalla sua parentela perché gli voleva mostrare ogni bene. Ogni bene è questa divina nascita che da sola comprende ogni bene. Il suo paese e la sua terra, da cui doveva uscire, simbolizza il corpo con tutte le sue concupiscenze e disordini; per parentela s’intende l’inclinazione delle facoltà sensibili e le loro fantastiche illusioni che attirano il corpo e lo trascinano, arrecandogli le agitazioni del piacere e del dolore, della gioia e della tristezza, del desiderio e del timore, dell’inquietudine e della leggerezza. Da tale famiglia, che è la parentela più prossima, vi si deve uscirne del tutto se si vuole il bene di questa nascita... Cristo ha detto: “Chi per amor mio lascia padre, madre e campi, riceverà in cambio il centuplo e in più la vita eterna” (Mt 19,29)...
... Sant’Agostino ha detto: “Maria fu molto più felice perché Dio nacque spiritualmente nella sua anima, che non per il fatto che nacque fisicamente da lei”.
Chi ora vuole che questa nascita avvenga nobilmente e spiritualmente nella sua anima, come nell’anima di Maria, deve prestare attenzione alle qualità che aveva in sé la santissima Maria, che fu madre fisicamente e spiritualmente. Ella era una casta ancella, ed era una vergine fidanzata e viveva ritirata, separata da tutto, quando l’angelo si recò da lei.
Così pure deve essere una madre spirituale di questa nascita di Dio: dev’essere una vergine casta e pura. Se ha perduto qualche volta la purità, deve riacquistarla e così ridiventa pura e virginale. ... Questa vergine deve vivere in ritiratezza; tutti i suoi pensieri, i suoi costumi, il suo comportamento devono essere interiori, così ella porta molto frutto, un grande Frutto, Dio stesso, il figlio di Dio, il Verbo di Dio che è e porta in sé ogni cosa.
Maria era una vergine promessa; anche la nostra vergine dev’essere promessa, secondo l’insegnamento di san Paolo. Tu devi immergere la tua volontà mutevole nella volontà immutabile di Dio, affinché la tua debolezza venga sostenuta.
Come Maria era una vergine ritirata, così deve essere ritirata la serva di Dio, se vuole sperimentare in sé questa nascita, astenendosi non solo dalle uscite materiali che talvolta appaiono dannose, ma pure dalla pratica sensibile della virtù. Deve cioè fare calma e silenzio in se stessa, chiudersi in sé, nascondersi e occultarsi dai sensi nello spirito; sfuggire spesso ad essi e realizzare in se stessa un silenzio, una pace interiore...
... Quando c’è un vero silenzio, allora si sente veramente il Verbo: perché se Dio deve parlare tu devi tacere; se Dio deve entrare tutte le cose devono uscire. Quando nostro Signore Gesù Cristo entrò in Egitto, tutti gli idoli che erano nel paese caddero a terra; sono i tuoi idoli (nonostante ti dimostri buono e santo) che impediscono la vera e immediata entrata della nascita eterna del Cristo.
Nostro Signore Gesù ha detto: “Io sono venuto a portare una spada per tagliare tutto ciò che appartiene all’uomo, madre sorella, fratello; perché, quello che ti è intimo, è il tuo nemico, perché la molteplicità delle immagini che nascondono e velano in te il Verbo, impediscono questa nascita nella tua anima...
Che tutti possano preparare un posto in se stessi a questa nobile nascita, così da diventare una vera madre spirituale. Che Dio ci aiuti. Amen.
Beato Giovanni Taulero
“Un bimbo è nato in noi, un figlio ci è stato dato” (Is 9,6)
In questo giorno la santa cristianità celebra una triplice nascita, in cui ogni cristiano dovrebbe ricevere immensa gioia e giubilo interiore.
E un uomo che non sperimentasse nulla in sé dovrebbe spaventarsi.
La prima e più sublime nascita avviene nel momento in cui il Padre celeste genera il Figlio unigenito nell’essenza divina e nella distinzione della persona. La seconda nascita, che oggi viene appunto celebrata, è la vergine e pura fecondità materna.
La terza nascita avviene quando Dio nasce, in modo vero e spirituale, ogni giorno ed ogni ora nell’anima buona.
Queste tre nascite del Signore vengono celebrate nelle tre sante Messe. La prima Messa si celebra nella notte oscura ed inizia con le parole:
“Il Signore mi disse: Figlio mio oggi ti ho generato”.
Questa Messa tratta della nascita nascosta che avvenne nell’oscuro della sconosciuta divinità. La seconda Messa inizia con le parole: “Oggi la luce risplenderà sopra di noi”. E celebra lo splendore della natura umana divinizzata, parte nel buio e parte durante il giorno, poiché questa nascita era solo in parte conosciuta. La terza Messa si celebra con il chiarore del giorno e comincia con queste parole: “Un bambino è nato in noi e un figlio ci è stato dato”. In essa si simbolizza l’amata nascita che avviene e deve avvenire in ogni anima buona e santa, solo se questa saprà rivolgersi ad essa con attenzione e amore, poiché se quest’anima vorrà sperimentare e sentire in sé tale nascita dovrà farlo rivoltando e raccogliendo tutte le sue forze.
In questa nascita nell’anima, Dio diventa così aderente ad essa che sembra mai fosse altra cosa più propria. La Sacra Scrittura dice: “Ci è nato un bimbo, ci è stato dato un figlio. Egli è nostro, più proprio di ogni altra cosa propria, egli nasce in noi ininterrottamente”. Di tale nascita a cui si riferisce l’ultima Messa vogliamo parlare per prima.
Se vogliamo che questa nobile nascita avvenga in noi nel modo più fruttuoso dobbiamo apprendere dalla prima nascita paterna, quando il Padre genera il suo Figlio nell’eternità.
Infatti, per la sua infinità bontà Dio non poteva chiudersi in se stesso ma doveva diffondersi e comunicarsi.
Come dicono Boezio e Agostino, la qualità e la natura di Dio è quella di diffondersi, così il Padre si è effuso nella processione delle persone divine e poi si è diffuso nelle creature.
Sant’Agostino ha detto che “noi esistiamo perché Dio è buono e tutto quello che le creature hanno di buono deriva solo dalla bontà essenziale di Dio”...
... La compiacenza di Dio si effonde in un amore ineffabile che è lo Spirito Santo, così Dio resta in se stesso esce da sé e vi rientra... Il corso dell’uomo come il corso del cielo sono i più nobili ed i più perfetti, in quanto ritornano alla propria origine. La proprietà che il Padre ha di entrare in sé e di uscirne, la deve avere in sé anche l’uomo che vuol diventare una madre spirituale di questa nascita divina.
... Deve avvenire un energico rientro, una riparazione, un raccoglimento interiore di tutte le facoltà, le superiori e le inferiori, e deve esserci una concentrazione da ogni dispersione, così come tutte le cose unite sono più forti …, come tutti i rami escono fuori dal fusto dell’albero, così tutte le facoltà sensibili, concupiscibili e irascibili, sono unite alle superiori nel fondo dell’anima: questo è il rientrare.
Se deve esserci allora un’uscita, cioè un’elevazione al di fuori e al di sopra di se stessi, noi dobbiamo rinunziare ad ogni nostro volere, desiderio ed azione; non deve restarci che una nuda e pura intenzione di Dio e assolutamente nulla del nostro essere, divenire e guadagno, ma solamente un appartenergli, un fargli posto nella parte più elevata e più intima, affinché Egli possa realizzare in noi la sua opera e non venga da noi ostacolato nella sua nascita. Perché quando due devono diventare uno, uno deve comportarsi da paziente, l’altro da agente.
Se il mio occhio deve percepire le immagini sulla parete o vedere qualunque altra cosa, deve essere privo di ogni altra immagine, perché se avesse innanzi a sé un solo colore, non vedrebbe più alcun altro colore; o se l’orecchio percepisce un tono, non può sentirne bene un’altro. Qualsiasi cosa deve ricevere dev’essere vuota, libera e sgombra. A questo riguardo Sant’Agostino dice: “Vuotati, perché possa essere riempito; esci per poter entrare”. E in un altro luogo: “O tu, nobile anima, o nobile creatura, perché vai a cercare fuori di te Colui che è interamente, in tutta verità e nudamente in te; e dal momento che sei partecipe della natura divina, cosa ti importa di tutte le creature o cosa hai da fare con esse.“Se l’uomo preparasse così il posto, il fondo, non c’è alcun dubbio che Dio dovrebbe riempirlo completamente pure se dovesse rompersi il cielo per ricolmare il vuoto”. Dio non lascia le cose vuote, sarebbe contrario a tutta la sua natura ed alla sua giustizia.
Perciò è molto importante che tu taccia, così sentirai parlare il Verbo in te. Ma sii certo che se tu vuoi parlare Egli deve tacere. Non si può servire meglio il Verbo che tacendo e ascoltando. Se gli farai posto uscendo completamente egli entrerà interamente, perché né meno né più di quanto tu esci egli entra. Quando Dio, nel primo libro di Mosè comanda ad Abramo di allontanarsi dal suo paese e dalla sua parentela perché gli voleva mostrare ogni bene. Ogni bene è questa divina nascita che da sola comprende ogni bene. Il suo paese e la sua terra, da cui doveva uscire, simbolizza il corpo con tutte le sue concupiscenze e disordini; per parentela s’intende l’inclinazione delle facoltà sensibili e le loro fantastiche illusioni che attirano il corpo e lo trascinano, arrecandogli le agitazioni del piacere e del dolore, della gioia e della tristezza, del desiderio e del timore, dell’inquietudine e della leggerezza. Da tale famiglia, che è la parentela più prossima, vi si deve uscirne del tutto se si vuole il bene di questa nascita... Cristo ha detto: “Chi per amor mio lascia padre, madre e campi, riceverà in cambio il centuplo e in più la vita eterna” (Mt 19,29)...
... Sant’Agostino ha detto: “Maria fu molto più felice perché Dio nacque spiritualmente nella sua anima, che non per il fatto che nacque fisicamente da lei”.
Chi ora vuole che questa nascita avvenga nobilmente e spiritualmente nella sua anima, come nell’anima di Maria, deve prestare attenzione alle qualità che aveva in sé la santissima Maria, che fu madre fisicamente e spiritualmente. Ella era una casta ancella, ed era una vergine fidanzata e viveva ritirata, separata da tutto, quando l’angelo si recò da lei.
Così pure deve essere una madre spirituale di questa nascita di Dio: dev’essere una vergine casta e pura. Se ha perduto qualche volta la purità, deve riacquistarla e così ridiventa pura e virginale. ... Questa vergine deve vivere in ritiratezza; tutti i suoi pensieri, i suoi costumi, il suo comportamento devono essere interiori, così ella porta molto frutto, un grande Frutto, Dio stesso, il figlio di Dio, il Verbo di Dio che è e porta in sé ogni cosa.
Maria era una vergine promessa; anche la nostra vergine dev’essere promessa, secondo l’insegnamento di san Paolo. Tu devi immergere la tua volontà mutevole nella volontà immutabile di Dio, affinché la tua debolezza venga sostenuta.
Come Maria era una vergine ritirata, così deve essere ritirata la serva di Dio, se vuole sperimentare in sé questa nascita, astenendosi non solo dalle uscite materiali che talvolta appaiono dannose, ma pure dalla pratica sensibile della virtù. Deve cioè fare calma e silenzio in se stessa, chiudersi in sé, nascondersi e occultarsi dai sensi nello spirito; sfuggire spesso ad essi e realizzare in se stessa un silenzio, una pace interiore...
... Quando c’è un vero silenzio, allora si sente veramente il Verbo: perché se Dio deve parlare tu devi tacere; se Dio deve entrare tutte le cose devono uscire. Quando nostro Signore Gesù Cristo entrò in Egitto, tutti gli idoli che erano nel paese caddero a terra; sono i tuoi idoli (nonostante ti dimostri buono e santo) che impediscono la vera e immediata entrata della nascita eterna del Cristo.
Nostro Signore Gesù ha detto: “Io sono venuto a portare una spada per tagliare tutto ciò che appartiene all’uomo, madre sorella, fratello; perché, quello che ti è intimo, è il tuo nemico, perché la molteplicità delle immagini che nascondono e velano in te il Verbo, impediscono questa nascita nella tua anima...
Che tutti possano preparare un posto in se stessi a questa nobile nascita, così da diventare una vera madre spirituale. Che Dio ci aiuti. Amen.
Beato Giovanni Taulero
L'estinzione del Buddha

Allora il Sublime si rivolse all’onorevole Ānanda:
«Andiamo, o Ānanda, sull’altra sponda del fiume Hiraññavati dove si trova Kusināra ed il bosco Upavattana di sāla dei Mallā».
«Sì, o signore», l’onorevole Ānanda assentì al Sublime.
Allora il Sublime, con la grande schiera dei monaci, andò sull’altra sponda del fiume Hiraññavati dove era Kusināra ed il bosco Upavattana di sāla dei Mallā. Colà giunto si rivolse all’onorevole Ānanda:
«Orsù, o Ānanda, tra una coppia di sāla prepara un giaciglio, rivolto a settentrione, io sono stanco, o Ānanda, mi coricherò».
«Sì, o signore», e l’onorevole Ānanda, ubbidendo al Sublime tra una coppia di sāla preparò un giaciglio rivolto a settentrione. Quindi il Sublime assunse la posizione del leone, sul fianco destro, coprendo piede con piede, consapevole, attento.
Proprio in quell’istante la coppia di sāla tutta sbocciò di fiori, e non era tempo di fioritura. E questi fiori aspersero, coprirono, ricoprirono il corpo del Compiuto, in onore del Compiuto. E divini fiori di māndarava piovvero dal cielo ed aspersero, coprirono, ricoprirono il corpo del Compiuto. E divine polveri di sandalo piovvero dal cielo ed aspersero, coprirono, ricoprirono il corpo del Compiuto, in onore del Compiuto. E divini strumenti suonarono dal cielo in onore del Compiuto. E divini canti echeggiarono dal cielo in onore del Compiuto.
Allora il Sublime si rivolse all’onorevole Ānanda:
«La coppia di sāla, o Ānanda, tutta sbocciò di fiori, e non è tempo della fioritura ed essi aspergono, coprono, ricoprono il corpo del Compiuto, in onore del Compiuto. E divini fiori di māndarava piovono dal cielo e aspergono, coprono, ricoprono il corpo del Compiuto, in onore del Compiuto. E divini strumenti suonano dal cielo in onore del Compiuto. E divini canti echeggiano dal cielo in onore del Compiuto.
Ma non così, o Ānanda, il Compiuto è onorato, venerato, ossequiato, riverito. Un monaco, o Ānanda, o una monaca, un seguace o una seguace, che dimora osservando la Dottrina, corretto nella vita, comportandosi secondo la Dottrina, costui onora, venera, ossequia e riverisce il Compiuto. Pertanto, o Ānanda, dimorate osservando la Dottrina. Così, o Ānanda, ci si deve esercitare».Fai clic qui per effettuare modifiche.
«Andiamo, o Ānanda, sull’altra sponda del fiume Hiraññavati dove si trova Kusināra ed il bosco Upavattana di sāla dei Mallā».
«Sì, o signore», l’onorevole Ānanda assentì al Sublime.
Allora il Sublime, con la grande schiera dei monaci, andò sull’altra sponda del fiume Hiraññavati dove era Kusināra ed il bosco Upavattana di sāla dei Mallā. Colà giunto si rivolse all’onorevole Ānanda:
«Orsù, o Ānanda, tra una coppia di sāla prepara un giaciglio, rivolto a settentrione, io sono stanco, o Ānanda, mi coricherò».
«Sì, o signore», e l’onorevole Ānanda, ubbidendo al Sublime tra una coppia di sāla preparò un giaciglio rivolto a settentrione. Quindi il Sublime assunse la posizione del leone, sul fianco destro, coprendo piede con piede, consapevole, attento.
Proprio in quell’istante la coppia di sāla tutta sbocciò di fiori, e non era tempo di fioritura. E questi fiori aspersero, coprirono, ricoprirono il corpo del Compiuto, in onore del Compiuto. E divini fiori di māndarava piovvero dal cielo ed aspersero, coprirono, ricoprirono il corpo del Compiuto. E divine polveri di sandalo piovvero dal cielo ed aspersero, coprirono, ricoprirono il corpo del Compiuto, in onore del Compiuto. E divini strumenti suonarono dal cielo in onore del Compiuto. E divini canti echeggiarono dal cielo in onore del Compiuto.
Allora il Sublime si rivolse all’onorevole Ānanda:
«La coppia di sāla, o Ānanda, tutta sbocciò di fiori, e non è tempo della fioritura ed essi aspergono, coprono, ricoprono il corpo del Compiuto, in onore del Compiuto. E divini fiori di māndarava piovono dal cielo e aspergono, coprono, ricoprono il corpo del Compiuto, in onore del Compiuto. E divini strumenti suonano dal cielo in onore del Compiuto. E divini canti echeggiano dal cielo in onore del Compiuto.
Ma non così, o Ānanda, il Compiuto è onorato, venerato, ossequiato, riverito. Un monaco, o Ānanda, o una monaca, un seguace o una seguace, che dimora osservando la Dottrina, corretto nella vita, comportandosi secondo la Dottrina, costui onora, venera, ossequia e riverisce il Compiuto. Pertanto, o Ānanda, dimorate osservando la Dottrina. Così, o Ānanda, ci si deve esercitare».Fai clic qui per effettuare modifiche.
PENSIERO DEL GIORNO
Il nostro passaggio sulla terra ha senso soltanto se tutto quello che facciamo è subordinato al mondo dello spirito e alle sue leggi. Per potersi impregnare delle leggi del mondo spirituale, è necessario consacrare ogni giorno un certo tempo al raccoglimento, alla meditazione e alla preghiera. Molti obietteranno che è tempo perso. Obiettino pure!… Quando arriveranno nell’altro mondo saranno costretti a riconoscere che il tempo perduto è invece quello che essi hanno trascorso nelle attività cosiddette “redditizie”, dimenticando che il
mondo fisico, il mondo materiale, sarebbe dovuto essere per loro soltanto un mezzo e non un obiettivo.
Dovete considerare il mondo materiale come un terreno di allenamento per il vostro spirito. Se lo dimenticate, vi esponete al rischio di infrangere le leggi divine. Non essendo più guidati dallo spirito, obbedirete a impulsi istintivi: l'egoismo, l'invidia, l'aggressività ecc. Agirete quindi a detrimento degli altri, e i vantaggi che crederete di ottenere non saranno in realtà che perdite. "
Omraam Mikhaël Aïvanhov
SPANDA-KĀRIKĀ
iti vā yasya saṃvittiḥ krīḍātvenākhilaṃ jagat /
sa paśyan satataṃ yukto jīvanṃukto na saṃśayaḥ //
Or he, who has this realization (viz. identity of his Self with the whole universe), being constantly united with the Divine, views the entire world as the play (of the Self identical with Śiva), and is liberated while alive. There is no doubt about this. (II.5)
Il nostro passaggio sulla terra ha senso soltanto se tutto quello che facciamo è subordinato al mondo dello spirito e alle sue leggi. Per potersi impregnare delle leggi del mondo spirituale, è necessario consacrare ogni giorno un certo tempo al raccoglimento, alla meditazione e alla preghiera. Molti obietteranno che è tempo perso. Obiettino pure!… Quando arriveranno nell’altro mondo saranno costretti a riconoscere che il tempo perduto è invece quello che essi hanno trascorso nelle attività cosiddette “redditizie”, dimenticando che il
mondo fisico, il mondo materiale, sarebbe dovuto essere per loro soltanto un mezzo e non un obiettivo.
Dovete considerare il mondo materiale come un terreno di allenamento per il vostro spirito. Se lo dimenticate, vi esponete al rischio di infrangere le leggi divine. Non essendo più guidati dallo spirito, obbedirete a impulsi istintivi: l'egoismo, l'invidia, l'aggressività ecc. Agirete quindi a detrimento degli altri, e i vantaggi che crederete di ottenere non saranno in realtà che perdite. "
Omraam Mikhaël Aïvanhov
SPANDA-KĀRIKĀ
iti vā yasya saṃvittiḥ krīḍātvenākhilaṃ jagat /
sa paśyan satataṃ yukto jīvanṃukto na saṃśayaḥ //
Or he, who has this realization (viz. identity of his Self with the whole universe), being constantly united with the Divine, views the entire world as the play (of the Self identical with Śiva), and is liberated while alive. There is no doubt about this. (II.5)
VĀKYAPADĪYA BRAHMAKĀṆḌA di Bhartṛhari (450 – 510 e.c.)
Prathamaṃ kāṇḍam
anādinidhanam brahma śabdatattvam yad akṣaram / vivartate’rthabhāvena prakriyā jagato yataḥ // 1 //
1. L’Uno senza inizio e senza fine, l’imperituro Brahman la cui natura essenziale è la Parola, che
si manifesta negli oggetti e da cui ha origine la creazione dell’Universo,
ekam eva yad āmnātam bhinnaśaktivyapāśrayāt / apṛthaktve’pi śaktibhyaḥ pṛthaktveneva vartate // 2 //
2. Quello, che è stato rivelato essere l’Uno, appare come i molti a causa della molteplicità delle sue potenze; appare diviso, sebbene sia indiviso,
adhyāhitakalāṃ yasya kālaśaktim upāśritāḥ / janmādayo vikārāḥ ṣaḍ bhāvabhedasya yonayaḥ // 3 //
3. Quello, dalle sei modificazioni - a partire dalla nascita – fondate sulla potenza del tempo, quando le sue parti non conoscono ostacoli, sono la sorgente delle molteplici forme dell’esistenza,
ekasya sarvabījasya yasya ceyam anekadhā / bhoktṛbhoktavyarūpeṇa bhogarūpeṇa ca sthitiḥ // 4 //
4. a questo Uno, che è il seme di tutte le cose, appartiene la molteplicità del soggetto agente che sperimenta, della cosa sperimentata (goduta) e dell’esperienza stessa (l’oggetto del godimento),
prāptyupāyo’nukāraśca tasya vedo mahaṛṣibhiḥ / eko’pyanekavartmeva samāmnātaḥ pṛthak pṛthak // 5 //
5. il Veda ne è il mezzo di accesso e l’imitazione; i grandi ṛṣi sebbene sia l’Uno, l’hanno trasmesso avendo diversi canali, separati gli uni dagli altri.
bhedānām bahumārgatvaṃ karmaṇyekatra cāṅgatā / śabdānām yataśaktitvaṃ tasya śākhāsu dṛśyate || 6 ||
6. Le divisioni hanno molteplici percorsi a supporto di un’unica azione rituale.Le parole hanno un potere fisso nei rami di questo [Veda]: questo è ciò che si constata.
smṛtayo bahurūpāśca dṛṣṭādṛṣṭaprayojanāḥ | tam evāśritya liṅgebhyo vedavidbhiḥ prakalpitāḥ // 7 //
7. I testi “rammentati”, diversificati per motivazioni visibili e talvolta invisibili, sono stati progettati per mezzo di segni indicativi dai conoscitori del Veda basandosi su questo stesso [Veda].
tasyārthavādarūpāṇi niśritāḥ avavikalpajāḥ / ekatvināṃ dvaitināṃ ca pravādā bahudhāgatāḥ [matāḥ] // 8 //
8. Fondate sulle glosse esplicative di questo [Veda], nate dalla loro stessa immaginazione, le tesi dei monisti e dei dualisti hanno preso una forma diversa.
satyā viśuddhis tatroktā vidyaivekapadāgamā / yuktā praṇavarūpeṇa sarvavādāvirodhinā // 9 //
9. Veritiera, chiamata “la pura”, la conoscenza è accessibile grazie ad una sola parola; è completamente congiunta alla forma del praṇava “il mormorio”; nessuna opinione può contraddirla.
Ṛibhu Gītā
sarvāsarvamasadviddhi pūrṇāpūrṇamasat pare |
sukhaṃ duḥkhamasadviddhi evaṃ homaṃ sudurlabham || 10.47
Il non-essere pervade tutto ciò che è e tutto ciò che non è
nell'assoluto il non-essere è vuoto e pienezza
il non-essere pervade piacere e dolore
per questo il sacrificio è raro (trad. Purnananda)
Prathamaṃ kāṇḍam
anādinidhanam brahma śabdatattvam yad akṣaram / vivartate’rthabhāvena prakriyā jagato yataḥ // 1 //
1. L’Uno senza inizio e senza fine, l’imperituro Brahman la cui natura essenziale è la Parola, che
si manifesta negli oggetti e da cui ha origine la creazione dell’Universo,
ekam eva yad āmnātam bhinnaśaktivyapāśrayāt / apṛthaktve’pi śaktibhyaḥ pṛthaktveneva vartate // 2 //
2. Quello, che è stato rivelato essere l’Uno, appare come i molti a causa della molteplicità delle sue potenze; appare diviso, sebbene sia indiviso,
adhyāhitakalāṃ yasya kālaśaktim upāśritāḥ / janmādayo vikārāḥ ṣaḍ bhāvabhedasya yonayaḥ // 3 //
3. Quello, dalle sei modificazioni - a partire dalla nascita – fondate sulla potenza del tempo, quando le sue parti non conoscono ostacoli, sono la sorgente delle molteplici forme dell’esistenza,
ekasya sarvabījasya yasya ceyam anekadhā / bhoktṛbhoktavyarūpeṇa bhogarūpeṇa ca sthitiḥ // 4 //
4. a questo Uno, che è il seme di tutte le cose, appartiene la molteplicità del soggetto agente che sperimenta, della cosa sperimentata (goduta) e dell’esperienza stessa (l’oggetto del godimento),
prāptyupāyo’nukāraśca tasya vedo mahaṛṣibhiḥ / eko’pyanekavartmeva samāmnātaḥ pṛthak pṛthak // 5 //
5. il Veda ne è il mezzo di accesso e l’imitazione; i grandi ṛṣi sebbene sia l’Uno, l’hanno trasmesso avendo diversi canali, separati gli uni dagli altri.
bhedānām bahumārgatvaṃ karmaṇyekatra cāṅgatā / śabdānām yataśaktitvaṃ tasya śākhāsu dṛśyate || 6 ||
6. Le divisioni hanno molteplici percorsi a supporto di un’unica azione rituale.Le parole hanno un potere fisso nei rami di questo [Veda]: questo è ciò che si constata.
smṛtayo bahurūpāśca dṛṣṭādṛṣṭaprayojanāḥ | tam evāśritya liṅgebhyo vedavidbhiḥ prakalpitāḥ // 7 //
7. I testi “rammentati”, diversificati per motivazioni visibili e talvolta invisibili, sono stati progettati per mezzo di segni indicativi dai conoscitori del Veda basandosi su questo stesso [Veda].
tasyārthavādarūpāṇi niśritāḥ avavikalpajāḥ / ekatvināṃ dvaitināṃ ca pravādā bahudhāgatāḥ [matāḥ] // 8 //
8. Fondate sulle glosse esplicative di questo [Veda], nate dalla loro stessa immaginazione, le tesi dei monisti e dei dualisti hanno preso una forma diversa.
satyā viśuddhis tatroktā vidyaivekapadāgamā / yuktā praṇavarūpeṇa sarvavādāvirodhinā // 9 //
9. Veritiera, chiamata “la pura”, la conoscenza è accessibile grazie ad una sola parola; è completamente congiunta alla forma del praṇava “il mormorio”; nessuna opinione può contraddirla.
Ṛibhu Gītā
sarvāsarvamasadviddhi pūrṇāpūrṇamasat pare |
sukhaṃ duḥkhamasadviddhi evaṃ homaṃ sudurlabham || 10.47
Il non-essere pervade tutto ciò che è e tutto ciò che non è
nell'assoluto il non-essere è vuoto e pienezza
il non-essere pervade piacere e dolore
per questo il sacrificio è raro (trad. Purnananda)